Perché c’è tanta incomprensione nel mondo?

In questo periodo di grande crisi, dove esprimere la propria opinione diventa rischioso, in certi paesi maggiormente ma per vari aspetti anche nel nostro, credo che la risposta che dà Osho a questa domanda sia un aiuto per ricordarci dove guardare quando tutto sembra instabile. 
Eccovi quindi la sua risposta, secca, chiara e resistente al tempo che passa. 
 
“Perché gli uomini sono inconsapevoli. Perché gli uomini sono profondamente addormentati. Perché gli uomini sono dei robot. La comunicazione è impossibile: tu dici una cosa, e ne viene capita un’altra. Non c’è modo di comunicare. Si può comunicare solo in amore, attraverso il silenzio. Ma nessuno sa come essere in amore, e nessuno sa come essere in silenzio.
Solo nell’amore e nel silenzio la comunicazione è possibile. Ma noi non amiamo e non siamo in silenzio. Siamo talmente colmi di conoscenza… ecco perché la comunicazione è impossibile. Il linguaggio è una delle ragioni per cui c’è tanta incomprensione nel mondo. Tra gli animali, gli alberi, gli uccelli non c’è incomprensione, perché il linguaggio non esiste. Sono fortunati, non sanno nulla del linguaggio, quindi comunicano in amore, in silenzio. E questa ottusità è una benedizione per loro. L’uomo è l’unico animale che sa parlare. E proprio questo fenomeno è un problema”.
da“Il canto della meditazione”, pag. 110, ed. Oscar Mondadori 

Il sole e la nuvola

A casa abbiamo un libro bellissimo, un omaggio a Gianni Rodari per il centenario della sua nascita, avvenuto nel 2020. A Vera piace tantissimo e ogni singola storia è una perla. 

Sarà la stagione, sarà che oggi mi è tornata in mente, ho deciso di condividere, con chi ancora non la conoscesse o con chi non la ricordava, la storia de Il Sole e la Nuvola. I commenti sono inutili, le parole di Rodari dicono già tutto. Buona lettura!

Illustrazione di Marco Paschetta per “Il Sole e la Nuvola”, tratto dal libro Cento Gianni Rodari. Cento Storie e filastrocche. Cento illustratori.

Il sole viaggiava in cielo, allegro e glorioso sul suo carro di fuoco, gettando i suoi raggi in tutte le direzioni, con grande rabbia di una nuvola di umore temporalesco, che borbottava: “Sciupone, mano bucata, butta via, butta via i tuoi raggi, vedrai quanti te ne rimangono”.

Nelle vigne ogni acino d’uva che maturava sui tralci rubava un raggio al minuto, o anche due; e non c’era filo d’erba, o ragno, o fiore, o goccia d’acqua, che non si prendesse la sua parte.

“Lascia, lascia che tutti ti derubino: vedrai come ti ringrazieranno, quando non avrai più niente da farti rubare”.

Il sole continuava allegramente il suo viaggio, regalando raggi a milioni, a miliardi, senza contarli.

Solo al tramonto contò i raggi che gli rimanevano: e, guarda un po’, non gliene mancava nemmeno uno. La nuvola per la sorpresa, si sciolse in grandine.

Il sole si tuffò allora allegramente nel mare.

Prendi un sorriso

Poeta, filosofo, avvocato, politico, autentica guida spirituale e pioniere della satyagraha (disobbedienza civile), Mohandas Karamchand Gandhi è famoso in tutto il mondo per aver portato l’India all’indipendenza attraverso la pratica della non violenza. Egli infatti asseriva: “Il genere umano può liberarsi della violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza. L’odio può essere sconfitto soltanto con l’amore. Rispondendo all’odio con l’odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità dell’odio stesso”.

Conosciuto universalmente come Mahatma, che significa grande Anima, egli però rifiutò sempre tale epiteto, in quanto riteneva ridicola la distinzione tra “grandi anime” e “piccole anime”, essendo tutti gli uomini uguali di fronte a Dio.

Prendi un sorriso è una sua poesia che esprime perfettamente il suo credo e la sua grande forza.

Prendi un sorriso,
Regalalo a chi non l’ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole,
Fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente,
fai bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima,
Posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il coraggio,
Mettilo nell’animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita,
Raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza
E vivi nella sua luce.
Prendi la bontà
E donala a chi non sa donare.
Scopri l’amore
e fallo conoscere al mondo.

Da “Educare alla vita”, di Jiddu Kishnamurti

Quando si viaggia, ci si accorge di come la natura umana sia ovunque la stessa, in India e in America, in Europa o in Australia. Questo vale soprattutto per le scuole secondarie e l’università. Stiamo creando, quasi usassimo uno stampo, un tipo di individuo il cui interesse supremo è quello di trovare la sicurezza, di diventare importante o di divertirsi pensando il meno possibile.

L’educazione tradizionale rende estremamente difficile il pensiero indipendente e il conformismo porta alla mediocrità. Essere diversi dal gruppo o resistere all’ambiente non è facile, e può essere rischioso se amiamo il successo più di ogni altra cosa. Il bisogno di avere successo, che è poi il perseguimento della ricompensa nella sfera materiale o in quella cosiddetta spirituale, la ricerca di sicurezza interiore o esteriore, il desiderio di conforto: tutto questo frena lo scontento, pone fine alla spontaneità e genera paura; e la paura blocca la comprensione intelligente della vita. Così, con il passare degli anni, l’apatia della mente e del cuore prendono il sopravvento. Cercando di ottenere conforto, di solito ci ritagliamo uno spazio protetto dove il conflitto sia ridotto al minimo, e poi abbiamo paura a uscire dal nostro isolamento.

Questa paura della vita, della lotta o di nuove esperienze uccide in noi lo spirito di avventura; l’educazione e l’istruzione ricevute ci hanno inculcato la paura di essere diversi dagli altri, il timore di pensare in contrasto con il modello socialmente stabilito, e ci hanno resi falsamente rispettosi di autorità e tradizione. Per fortuna esistono persone seriamente disposte a esaminare i problemi umani senza pregiudizi di destra o di sinistra; ma nella stragrande maggioranza di noi non c’è un vero spirito di scontento o di rivolta. Quando ci pieghiamo con rassegnazione all’ambiente circostante, qualsiasi spirito di ribellione possiamo avere avuto si spegne, e ben presto le nostre responsabilità vi pongono fine. Esistono due tipi di ribellione: c’è quella violenta, che è mera reazione, senza comprensione, contro l’ordine esistente; e c’è la profonda ribellione psicologica dell’intelligenza. Molti si ribellano alle ortodossie ufficiali solo per cadere in nuove ortodossie e illusioni, o in forme celate di autoindulgenza. Spesso accade che abbandoniamo un gruppo o un insieme di ideali ed entriamo in un nuovo gruppo, abbracciamo altri ideali, creando così un nuovo modello di pensiero a cui ancora una volta dovremo ribellarci.

La reazione genera solo opposizione, e una riforma ha sempre bisogno di riforme successive. Esiste però una ribellione intelligente che non è reazione, ma che viene con la conoscenza di sé attraverso la consapevolezza dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti. Solo affrontando l’esperienza così come si presenta, senza evitarne gli aspetti negativi, possiamo mantenere l’intelligenza veramente sveglia; e l’intelligenza attiva al suo grado più alto è l’intuizione, che è l’unica vera guida nella vita.

Ora, qual è il significato della vita? Per che cosa viviamo e lottiamo? Se riceviamo un’istruzione solo per distinguerci, per avere un lavoro migliore, per essere più efficienti, per meglio dominare gli altri, allora le nostre vite saranno futili e vuote. Se riceviamo un’istruzione solo per diventare scienziati, o studiosi dediti esclusivamente ai libri, o specialisti drogati dal sapere, allora stiamo contribuendo alla distruzione e alla miseria del mondo. Anche se nella vita c’è un significato più ampio e più elevato, che valore ha l’educazione se non ci aiuta a scoprirlo?

Possiamo essere molto istruiti, ma senza un’integrazione profonda tra pensiero e sentimento le nostre vite sono incomplete, contraddittorie e lacerate da mille paure; e finché l’educazione non coltiva una visione integra della vita, il suo significato è ben poca cosa. Nella civiltà odierna abbiamo diviso la vita in così tanti scomparti che l’istruzione ha pochissimo peso, se non per imparare una particolare tecnica o una professione. Invece di risvegliare l’intelligenza integra dell’individuo, essa lo incoraggia a conformarsi a un modello, ostacolando così la sua comprensione di sé come processo totale. Cercare di risolvere i tanti problemi dell’esistenza ai loro diversi livelli, separati come sono in varie categorie, denota una totale mancanza di comprensione. L’individuo è formato da elementi diversi, ma enfatizzare le differenze e incoraggiare lo sviluppo di un aspetto specifico produce complicazioni e contraddizioni.

L’educazione dovrebbe determinare l’integrazione di questi elementi separati, perché senza integrazione la vita si trasforma in una serie di conflitti e di dolori. Che valore ha studiare da avvocati se perpetuiamo le controversie? Che valore ha il sapere se rimaniamo nella nostra confusione? Che significato hanno le abilità tecniche o industriali se le usiamo per distruggerci a vicenda? Che senso ha la nostra esistenza se ci porta alla violenza e alla desolazione totale? Anche se abbiamo denaro o siamo in grado di guadagnarne, anche se abbiamo i nostri piaceri e le nostre religioni organizzate, siamo in perenne conflitto. Dobbiamo distinguere tra ciò che è personale e l’individuo in sé. Il personale è accidentale, e con questo intendo riferirmi alle circostanze della nascita e all’ambiente in cui per caso siamo cresciuti, con il suo nazionalismo, le sue superstizioni, le distinzioni di classe e i pregiudizi. Il personale o accidentale è solo momentaneo, anche se il momento può durare tutta la vita; e poiché l’attuale sistema educativo si basa sul personale, sull’accidentale, sul momentaneo, esso porta a una perversione del pensiero e inculca paure autodifensive. Siamo stati tutti abituati dall’educazione e dall’ambiente a cercare la sicurezza e il vantaggio personale, e a lottare per noi stessi. Anche se lo dissimuliamo con espressioni gradevoli, siamo stati formati per le varie professioni all’interno di un sistema basato sullo sfruttamento e sull’avidità dettata dalla paura.

Questo tipo di preparazione deve per forza portare confusione e miseria a noi e al mondo, perché crea negli individui quelle barriere psicologiche che lo separano e lo tengono lontano dagli altri. L’istruzione non riguarda solo l’addestramento della mente: l’esercizio favorisce l’efficienza, ma non determina la completezza. Una mente che è stata soltanto addestrata è la continuazione del passato, e una mente così non può mai scoprire il nuovo. Ecco perché, per individuare il giusto tipo di educazione, dobbiamo indagare l’intero significato della vita. Per la maggior parte di noi, il senso della vita nella sua totalità non è di primaria importanza, e l’educazione che riceviamo mette l’accento su valori secondari, limitandosi a renderci competenti in qualche campo del sapere. Le conoscenze e l’efficienza sono necessarie, ma dare loro un’importanza eccessiva genera solo conflitto e confusione. Vi è un tipo di efficienza ispirata dall’amore che supera di molto ed è ben più nobile dell’efficienza dell’ambizione; e senza l’amore, che permette una comprensione integra della vita, l’efficienza genera crudeltà. Non è forse questo che accade ora nel mondo?

La nostra educazione attuale è funzionale all’industrializzazione e alla guerra, visto che il suo scopo principale è sviluppare l’efficienza; e noi siamo prigionieri di questa macchina di competizione spietata e di distruzione reciproca. Se l’educazione porta alla guerra, se ci insegna a distruggere o a essere distrutti, non ha forse fallito in pieno? Per proporre il giusto tipo di educazione, dobbiamo ovviamente comprendere il significato della vita nella sua totalità, e per farlo dobbiamo essere in grado di pensare, non in modo rigido, ma in modo diretto e vero. Un pensatore rigido è una persona irriflessiva, perché si conforma a un modello; ripete frasi fatte e non esce dagli schemi. Non si può comprendere la vita in astratto o teoricamente; comprendere la vita significa comprendere noi stessi, ed è questo il principio e il fine dell’educazione.

L’educazione non consiste solo nell’acquisizione di conoscenze, nel raccogliere dati e metterli in correlazione; essa consiste nel capire il significato della vita nella sua totalità. Ma la totalità non può essere avvicinata attraverso la parte, che è poi quello che tentano di fare i governi, le religioni organizzate e i partiti autoritari. La funzione dell’educazione è creare esseri umani integri, e perciò intelligenti. Possiamo prendere la laurea ed essere meccanicamente efficienti senza essere intelligenti: l’intelligenza non è solo conoscenza; non viene dai libri, e nemmeno consiste di abili risposte autodifensive e di affermazioni aggressive. Una persona che non ha studiato può essere più intelligente di una istruita. Abbiamo fatto di esami e diplomi il criterio per misurare l’intelligenza, e abbiamo sviluppato menti brillanti che evitano però le questioni fondamentali dell’uomo. L’intelligenza è la capacità di percepire l’essenziale, il ciò che è; e risvegliare questa capacità, in noi e negli altri, è vera educazione.

L’educazione dovrebbe aiutarci a scoprire valori duraturi, così da non lasciarci aggrappare a formule o alla ripetizione di slogan; dovrebbe aiutarci ad abbattere le barriere sociali o nazionali, invece di accentuarle, poiché generano antagonismo tra gli uomini. Purtroppo l’attuale sistema educativo ci rende sottomessi, meccanici e profondamente ottusi; anche se ci stimola intellettualmente, dentro ci lascia incompleti, vuoti e privi di creatività. Senza una comprensione integra della vita, i nostri problemi individuali e collettivi diventeranno solo più profondi e più ampi.

Il fine dell’educazione non è creare semplici eruditi, tecnici e carrieristi, ma uomini e donne integri e liberi dalla paura; poiché solo tra individui di questo genere può esistere una pace durevole. Solo con la comprensione di noi stessi possiamo mettere fine alla paura. Se un individuo deve cimentarsi con la vita momento per momento, se deve affrontarne le complessità, le miserie e gli imprevisti, deve essere assolutamente flessibile e dunque libero da teorie e schemi di pensiero specifici. L’educazione non dovrebbe incoraggiare l’individuo ad adeguarsi o a conformarsi sterilmente alla società, dovrebbe aiutarlo a scoprire i valori veri che derivano da un’indagine obiettiva e dalla consapevolezza di sé. Se non vi è conoscenza di sé, l’espressione individuale diviene autoaffermazione, con il suo fardello di conflitti aggressivi e ambiziosi.

L’educazione dovrebbe risvegliare la capacità di essere autoconsapevoli e non limitarsi ad assecondare una gratificante espressione di sé. Cosa c’è di buono nell’apprendere se nel corso della vita non facciamo che distruggerci? Considerata la sequela di guerre devastanti che scoppiano ovunque, una dopo l’altra, deve per forza esserci qualcosa di radicalmente sbagliato nel modo in cui cresciamo i nostri figli. Penso che la maggior parte di noi sia consapevole di questo, ma non sappiamo come affrontarlo. I sistemi, sia educativi che politici, non subiscono trasformazioni misteriose; mutano quando in noi si produce un cambiamento radicale. L’individuo, e non il sistema, è la cosa più importante; e finché l’individuo non comprende interamente il suo processo interiore nessun sistema, di destra o di sinistra, potrà portare nel mondo ordine e pace.

Da lettere dal bosco, lo scoiattolo e i pensieri

Lettere dal bosco, edizione originale in olandese

Ho già scritto su Lettere dal bosco di Toon Tellegen, ma chi mi conosce sa che quando qualcosa mi prende proprio a cuore divento ripetitiva. E questo libro è veramente un inno alla sensibilità, all’educazione nel suo senso più profondo e bello del “tirar fuori ciò che sta dentro”. Una delle sue bellezze è anche il fatto che le storie non abbiano titoli e non ci sia nessun tipo di indice, quindi quando trovi una storia che ti piace particolarmente è un lavoro di memoria ricordarsi a che pagina è e se non la ritrovi, va bene così, c’est la vie. Un giorno magari, in un altro momento, la ritroverai e sarà tutto cambiato. 

Ieri leggevamo a Vera e per caso abbiamo scoperto questa storia che ho riscritto integra qui sotto. Non voglio lasciare alcun commento perché sarebbe riduttivo e la bellezza va assaporata così com’è, ognuno poi ne estrae ciò che è giusto per sé. Buona lettura!

Lo scoiattolo si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Aveva sognato? Non si ricordava alcun sogno, ma era spaventato. Tremava, ma non aveva freddo, e avvertiva delle gocce di sudore gelato sulla fronte e sul collo.

Cercò di rimanere il più immobile possibile e di ascoltare i rumori che venivano da fuori. Forse qualcuno aveva bussato, o forse qualcuno aveva lanciato un grido di lontano. Ma non sentiva nulla. Si sdraiò di nuovo, ma non riuscì più a dormire. Gli vennero in mente mille pensieri. Come si deve fare questo, e perché quest’altro, e cosa accadrà dopo? Erano domande alle quali non sapeva dare risposta, soprattutto l’ultima, che continuava a passargli per la testa: cosa accadrà dopo?

Non riusciva a immaginare cosa mai potesse somigliare a una risposta a quella domanda. Cos’è il dopo?, pensava. Ne aveva parlato una volta alla formica, ma lei aveva alzato le spalle e aveva detto di non aver mai sentito parlare del dopo e che perciò non doveva essere niente. Ma allo scoiattolo questo non bastava. La gazza gli aveva detto una volta che dopo era il contrario di prima, ma allora che cos’era il prima?

Era una notte buia. Lo scoiattolo aprì la finestra per annusare l’aria oscura e magari vedere qua e là una stella fra le nuvole.

Io esisto solo adesso, pensò, davanti alla finestra, nella notte sotto il cielo. Forse la formica ha ragione, pensò ancora, e il dopo non è niente. Ma cos’è il contrario di niente: qualcosa o niente? Il prima esisteva o no? E poi perché lui non riusciva a dormire, mentre a quanto pareva tutti gli altri sì?

Tirò un profondo sospiro e con l’aria soffiò via anche una foglia del faggio. Udì il fruscio che si perdeva in lontananza. 

Io esisto solo adesso, pensò di nuovo. Nono sono mai esistito dopo e non esisterò mai prima. E mentre non riusciva più a seguire i suoi pensieri, che erano sempre più saggi di lui, si sentì rasserenato. Tornò a letto, si infilò sotto le coperte, disse : “Adesso o mai più”, e nello stesso istante si addormentò. 

“Non lasciarmi”: di maiali, cuori e ahimsa

La notizia del cuore di un maiale geneticamente modificato trapiantato su di un paziente mi ha scossa moltissimo, riportando alla memoria un libro che ho letto qualche anno fa, “Non lasciarmi”, del premio Nobel 2017 Kazuo Ishiguro.

È una storia non facile ma che sono felicissima di avere letto.
Nella storia si parla di tre ragazzini che vivono nell’atmosfera protetta e per certi versi idilliaca di Hailsham, un istituto isolato nel cuore della campagna inglese. I ragazzi fanno parte di un progetto in cui la loro collaborazione è indispensabile: sanno di essere diversi dai tutori e da tutti gli esseri umani del mondo di fuori, ma non hanno idea di cosa si celi dietro. Loro crescono felici, vivendo tutte le esperienze classiche di ogni bambino e ragazzo, dall’amicizia intensa ai primi amori, alla rabbia e la gelosia. Alcuni tutori sono severi ma comunque sempre giusti e pronti ad aiutare tutti e non soltanto ad insegnare le solite materie scolastiche: ad Hailsham viene anche incoraggiata la creatività, seguendo la personale inclinazione dei ragazzi.

La storia parla in particolare di tre giovani e della loro amicizia, di come essa si modifica negli anni, soprattutto quando, finito il periodo di Hailsham, i ragazzi cominciano il periodo di mezzo nei Cottages, delle specie di fattorie dismesse nelle quali questi si autogestiscono. E qui inizia la parte macabra. Ragazzi che sono stati spronati alla creatività, alla lettura, all’arte, scoprono che dopo questo breve periodo nei cottages inizierà la vera vita, quella a cui erano destinati fino ancora prima della nascita: loro non avranno mai un lavoro, non avranno mai una vita “normale” e non avranno neanche mai figli pur avendo normali impulsi sessuali poiché sono sterili. Infatti questi ragazzi sono stati generati per clonazione allo scopo di diventare “donatori” e il loro corpo sarà utilizzato per guarire le infermità della gente “vera”, quella nata da madre e padre. Tutti quanti dovranno donare i loro organi fino a che non avranno completato “il loro ciclo”.

La notizia del maiale geneticamente modificato mi ha ricordato subito questo libro che in qualche modo la mia mente aveva rimosso tanto la sua lettura, seppure appassionante, mi aveva messa a disagio.
Qui non si tratta di bambini, certo, ma di maiali. Ma a me fa male lo stesso. Quanta cattiveria devono ancora subire gli animali?

Nello yoga ci sono cinque yama, cinque principi etici a cui i praticanti dovrebbero ispirarsi e uno di questi riguarda proprio ahimsa. Himsa in  sanscrito significa violenza, fare del male e il suffisso a- significa non, perciò ahimsa può essere tradotto come non fare del male, non violenza.
Ma non c’è bisogno di praticare yoga o conoscerne la filosofia per apprezzare questo concetto che per fortuna è insito in tutte le culture. Basti pensare alla Regola d’oro, non fare gli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, principio che si ritrova nelle scritture di molte religioni.

Per l’Islam, «Nessuno di voi è un credente se non desidera per il proprio fratello ciò che desidera per se stesso»,(I quaranta hadith di al-Nawawi 13). Nell’Induismo leggiamo «Questo, dicono i saggi, è il sommo dharma: come è la vita che tu desideri per te, così sia per te quella delle [altre] creature»,(Mahabharata, 13.116.2). Nel confucianesimo, Zigong domandò: “C’è una parola che faccia da guida per tutta la vita?” Il Maestro disse:“È la reciprocità. Quel che non desideri per te, non farlo agli altri”.»,(Kǒng Zǐ 孔子 551-479 a.e.v.) 

Coltiviamo ahimsa ogni giorno, coltiviamo l’empatia, l’amore incondizionato e finalmente sapremo cogliere la bellezza che è in ogni cosa.

Lettere dal bosco, o di quando gli adulti sanno rimanere fanciulli

Grazie al mio compagno ho scoperto un libro delizioso: Lettere dal bosco, trecento storie di animali di Toon Tellegen.
Come spesso accade, un libro per ragazzi che dovrebbe essere letto da tutti. Un vero inno allo yoga inteso come unione, come armonia nel disordine del creato. Con la loro leggerezza e la loro logica fanciullesca e geniale, gli animali che abitano il bosco di Tellegen sono allegri sabotatori della pigrizia dell’anima. Brevi e spiazzanti, le storie dello scoiattolo e dei suoi amici sovvertono sempre la dura legge della noia.
Questo racconto, di cui vi lascio le ultime righe, è uno dei primi in cui mi sono imbattuta (il libro non ha indici e non ci sono i titoli delle storie) e mi sono commossa dalla facilità con cui l’autore ha saputo descrive qualcosa di così grande.
“Io esisto solo adesso, pensò di nuovo. Non sono mai esistito dopo e non esisterò mai prima. E mentre non riusciva più a seguire i suoi pensieri, che erano sempre più saggi di lui, si sentì rasserenato. Tornò a letto, si infilò sotto le coperte, disse: “Adesso o mai più”, e nello stesso istante si addormentò.”
Toon Tellegen è già entrato nel mio cuore con queste fiabe e certamente prenderemo altri suoi libri. Classe 1941, olandese, è uno scrittore, un poeta e anche un fisico, conosciuto soprattutto per i suoi libri per ragazzi.

La parola a Dostoevskij

Lascio oggi la parola aFedor-Dostoevskij-C-GettyImages_imagelarge Fëdor Dostoevskij, che come molti di voi sanno è uno dei miei autori preferiti. In particolare, in occasione della pasqua, vi lascio con il finale de I Fratelli Karamazov, un libro che ho letto due volte a distanza di dieci anni. La prima volta lo  apprezzai per l’attacco alla religione che vi trovavo (il famoso passaggio de “il grande inquisitore”), la seconda l’ho amato per la sua grandissima spiritualità. Le contraddizioni mi hanno sempre stimolata ed è bello anche ricredersi e scoprire il nuovo in ciò che già si credeva di conoscere. Non vi anticiperà nulla della storia, qualora vi venisse voglia di leggerlo in un futuro 🙂

Buona lettura!

“Signori, presto ci separeremo … Stringiamo un patto qui, presso il macigno di Iljuša: che non ci dimenticheremo prima di tutto di Iljuša, e poi l’uno dell’altro… E ci ricorderemo il giorno in cui abbiamo sepolto il povero ragazzo, al quale in passato avevamo tirato i sassi presso il ponticello – ve lo ricordate? – e poi abbiamo tutti imparato ad amarlo… Sappiate che non c’è nulla di più sublime, di più potente, di più salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo e soprattutto di un ricordo dell’infanzia… Se un uomo porta con sé molti di questi ricordi nella vita, egli sarà salvo fino alla fine dei suoi giorni. E anche se dovesse rimanere un solo buon ricordo nel nostro cuore, anche quello potrebbe servire un giorno per la nostra salvezza. Chissà, potremo anche diventare cattivi un giorno… Tuttavia, per quanto possiamo diventare cattivi – che Dio non voglia! – quando ricorderemo il giorno in cui abbiamo sepolto Iljuša, come lo abbiamo amato negli ultimi giorni della sua vita e come, in questo momento, ci siamo parlati da amici, stando tutti insieme presso questo macigno, allora anche il più cattivo fra di noi, anche il più cinico – ammesso che si sia diventati tali – non oserà, dentro di sé, ridere di quanto è stato buono e gentile in questo momento! Anzi, potBkdraftrebbe accadere che proprio questo ricordo lo distolga da un grande male ed egli potrà riflettere e dire: – Sì, allora ero buono, coraggioso e onesto – ”.

“Sarà sicuramente così, Karamazov, io vi comprendo, Karamazov!”, esclamò Kolja con gli occhi che gli brillavano. I ragazzi si agitarono commossi e volevano dire qualcosa anche loro, ma si trattennero e continuarono a rivolgere i loro sguardi attenti e commossi all’oratore. “Dico questo nel caso deprecabile che diventiamo cattivi”, proseguì Alëša, “ma perché mai dovremmo diventarlo, signori? Per prima cosa, soprattutto, noi saremo buoni, poi onesti e poi non ci dimenticheremo mai l’uno dell’altro. Lo ripeto ancora. Io, per primo, vi do la mia parola che non dimenticherò nessuno di voi; ciascun viso che in questo momento mi sta guardando, lo ricorderò, dovessero passare pure trent’anni… Voi tutti, signori, mi siete cari, per sempre conserverò tutti voi nel mio cuore e vi chiedo di conservare anche me nel vostro! E chi ci ha uniti in questo buono, nobile sentimento – colui che noi ricorderemo e desidereremo ricordare per sempre, per tutta la vita – se non Iljuša, il buon ragazzo, il dolce ragazzo, il ragazzo che sarà caro a noi nei secoli dei secoli? Allora non dimentichiamolo mai, eterna memoria a lui nei nostri cuori da ora e nei secoli dei secoli!”. 

CollegioSanStanislaoLjubljana-2010“Sì, sì, eterna memoria, eterna memoria”, gridarono all’unisono i ragazzi con le loro vocette squillanti e i volti commossi. “Ricorderemo anche il suo viso, il suo vestitino, e i suoi miseri stivaletti e la sua piccola bara e il suo sciagurato padre, e di come egli insorse coraggiosamente contro tutta la classe in difesa del padre!” . “Ricorderemo, ricorderemo!”, fecero coro ancora una volta i ragazzi. “Era coraggioso, era buono!”. “Ah, quanto gli volevo bene!”, esclamò Kolja. “Ah, figlioletti, cari amici, non abbiate paura della vita! Com’è bella la vita se compi un’azione giusta e buona!”. “Sì, sì”, ripeterono i ragazzi solennemente. “Karamazov, vi vogliamo bene!”, gridò impulsivamente una voce, forse quella di Kartašov. “Vi vogliamo bene, vi vogliamo bene!”, fecero eco anche tutti gli altri. Molti avevano gli occhietti pieni di lacrime. “Urrà per Karamazov!”, proclamò Kolja entusiasta. “Ed eterna memoria al povero ragazzo!”, soggiunse ancora una volta con sentimento Alëša. “Eterna memoria!”, ripeterono i ragazzi.

“Karamazov!”, gridò Kolja. “È vero che la religione dice che noi tutti risorgeremo dai morti e torneremo a vivere e ci rivedremo l’un l’altro, tutti, anche Iljuša?”.“Senza dubbio risorgeremo, senza dubbio ci rivedremo e in gioia e lietezza ci racconteremo l’un l’altro tutto il nostro passato”, rispose Alëša fra sorridente e estasiato. “Ah, come sarà bello!”, sfuggì a Kolja. “Ma adesso basta parlare e andiamo al pranzo funebre. Non siate turbati dal fatto che mangeremo le frittelle. Questa è un’antica, eterna tradizione e c’è del buono in essa!”, disse Alëša ridendo. “Su, andiamo! Andiamoci tutti adesso, mano nella mano!”. “E sarà così per sempre, per tutta la vita, mano nella mano! Urrà per Karamazov!”, gridò Kolja un’altra volta con trasporto, e ancora una volta i ragazzi fecero eco al suo grido”.

La Magia del Respiro

Carlos c1962
Carlos Castaneda

Quest’estate ho letto il mio terzo libro di Carlos Castaneda, “Il dono dell’Acquila”.

Castaneda era un antropologo, ma è soprattutto diventato famoso per la sua serie di 12 libri in cui ha descritto il suo percorso di iniziazione allo Sciamanesimo mesoamericano.
Non è un autore facile, bisognerebbe leggere i suoi libri in ordine cronologico per avere una visione d’insieme, cosa che io purtroppo non ho fatto. Sicuramente fra i miei progetti futuri c’è quello di seguire questa chiave di lettura per poter meglio comprendere un autore così interessante e importante per aiutarci a cogliere ciò che esiste oltre il puro mondo materiale.
Ciononostante ho deciso di lasciare qui un estratto da questo libro che riguarda l’importanza del respiro nelle tecniche usate dagli iniziati per progredire nel loro cammino. Il testo è un po’ ostico ma ha una sua poesia se si legge senza tentare di dargli un senso puramente logico. Così ve lo lascio sperando possa esservi d’ispirazione 🙂
[…]Florinda spiegava che l’elemento chiave del ricapitolare era la respirazione. Il respiro per lei era magico perché era una funzione vitale. Diceva che era facile ricordare se si poteva ridurre l’aria di stimolazione intorno al corpo. Per questo era necessario lo scatolone, così la respirazione avrebbe favorito ricordi sempre più profondi.[…]
Florinda mi riferì che il benefattore le aveva ordinato di scrivere un elenco di avvenimenti da rivivere. Le aveva detto che la procedura si avvia con un respiro iniziale. I cacciatori cominciano col mento sulla spalla destra, inalando lentamente mentre ruotano il capo per un arco di centottanta gradi. Il respiro termina sulla spalla sinistra. Finito di inalare la testa torna in posizione rilassata. Esalano guardando dritto davanti a sé. 

Poi il cacciatore prende il primo avvenimento della lista e ci si sofferma finché non ha ricordato ogni sensazione ad esso collegata. Mentre i cacciatori ricordano le sensazioni connesse a tutto quel che è oggetto di ricapitolazione, inalano adagio, ruotando la testa dalla spalla destra alla sinistra. Questa respirazione ha il compito di ridare energia. Florinda affermava che il corpo luminoso crea in continuazione filamenti simili a ragnatele che sono proiettati fuori dalla massa luminosa, spinti da svariate emozioni. Di conseguenza ogni interazione oppure qualsiasi altra situazione che coinvolga i sentimenti, depaupera potenzialmente il corpo luminoso. I cacciatori, respirando da destra a sinistra, mentre ricordano una sensazione, con la magia del respiro raccolgono i filamenti che si sono lasciati dietro. Il respiro che viene subito dopo, va da sinistra a destra ed è un’esalazione; con questo i cacciatori espellono i filamenti lasciati loro da altri corpi luminosi coinvolti in quel che si sta ricordando…

Carlos Castaneda, Il Dono dell’Aquila