Sankalpa

Tu sei il tuo desiderio più profondo (Sankalpa)
Il tuo desiderio è la tua intenzione
La tua intenzione è la tua volontà
La tua volontà è la tua azione
La tua azione è il tuo destino

universe-and-man-larger.png

Sankalpa è un composto di Kalpa, che significa voto o promessa e San, che si riferisce alla verità più alta, la priorità mantenuta con tutto l’impegno possibile. Può quindi essere definito come l’intenzione che si trova nel nostro essere più profondo e che ci guida verso la verità più alta.

Quello che mi piace del sankalpa è che è un ottimo mezzo per guardare dentro di noi in maniera profonda e onesta, senza giudizio. Spesso e volentieri io mi trovavo, e tutt’ora a volte mi capita, imbarazzata davanti alla scelta del sankalpa, non sapendo cosa effettivamente potessi volere, cercare, domandare. Non è così ovvio come potrebbe sembrare e certamente richiede un discreto lavoro su se stessi.

Il sankalpa può essere espresso prima di qualsiasi pratica spirituale, prima della meditazione o perché no, anche all’inizio di un nuovo giorno. L’importante è essere consapevoli delle parole che stiamo pronunciando, essere rilassati e centrati. Infatti, quando il sankalpa è praticato su una mente calma, viene impresso al di là di essa, in quel luogo da dove sorgono i pensieri, che raggiungiamo anche tramite la meditazione.

Per esprimere la nostra verità intenzionale, il sankalpa deve essere espresso in maniera positiva, in una frase sintetica di senso compiuto e al tempo presente. Questo per non portare negatività e distanza alla nostra intenzione.

Non diremo quindi “non voglio più avere pregiudizi su Caio”, ma piuttosto “Ascolto Caio senza pregiudizio alcuno”.intentionIn questo modo pianteremo giorno dopo giorno il seme del nostro sankalpa a livello profondo nel nostro essere, fino alla radice dell’anima, sapendo che quando sarà il momento giusto, nei tempi divini, questo sarà realizzato. Il metodo del Sankalpa infatti si basa non tanto sullo sforzo, ma sul convincimento e sulla costanza. Ci sorprenderà notare i piccoli cambiamenti cui andremo incontro praticando con consapevolezza questo “buon proposito”.

Essendo un’amante dell’etimologia, non posso non legare il sankalpa al concetto tutto latino di desiderio. L’origine di questa parola mi ha sempre affascinata: esso è un composto dalla preposizione de che in latino ha sempre un’accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella. Desiderare significa quindi, letteralmente, “mancanza di stelle”, nel senso di “avvertire la mancanza delle stelle”, dei buoni presagi, dei buoni auspici. Per estensione quindi questo verbo ha assunto anche l’accezione corrente, intesa come percezione di una mancanza e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata.

Mi piace unire il sankalpa al nostro più conosciuto desiderio, parola ultimamente caduta un po’ in disuso, forse perché troppo grande, troppo romantica in quest’epoca dove tutto deve essere pura apparenza. Un altro punto essenziale del sankalpa, che lo accomuna al nostro desiderio, è la segretezza. Il sankalpa è questione intima, non lo si deve gridare ai quattro venti. Lo possiamo scrivere segretamente per noi stessi, ma in ultima battuta si tratta del nostro proponimento, esso va protetto da qualsiasi influenza esterna, quand’anche fosse positiva. Siamo noi stessi gli unici responsabili e tali rimarremo sino al suo pieno compimento. Nessun altro può decidere per noi, nessun altro deve influenzare le nostre scelte. Il riserbo da cui va circondato ha lo scopo di esaltarne l’efficacia: la segretezza ne moltiplica la potenza.

Buon sankalpa a tutti!

La Nascita di Patañjali

vishnu
Visnu riposa sul Signore dei serpenti Adisesa

Patañjali è l’autore degli yoga sutra, uno dei testi di riferimento su questa scienza. Lo yoga è nato prima di lui, ma lui in qualche maniera lui ne è stato lo scopritore e fondatore. Sulla sua nascita e vita paradossalmente si sa pochissimo.

Secondo la leggenda, un giorno Viṣṇu, custode e protettore della creazione, stava seduto su Ādiśeṣa, signore dei serpenti e suo trasportatore.
Viṣṇu stava guardando l’affascinante danza di Śiva e ne rimase talmente scosso che il suo corpo iniziò a vibrare e a martellare pesantemente su Ādiśeṣa, al quale quasi mancò il respiro. Quando la danza terminò, subito il corpo di Viṣṇu tornò leggero.

Ādiśeṣa chiese a Visnu cosa fosse successo e questi rispose che la grazia, la bellezza e la potenza della danza di Śiva avevano creato delle corrispondenti vibrazioni sul suo corpo.
Incantato da questa esperienza vissuta, Ādiśeṣa espresse il desidero di poter imparare la danza in modo da poterla ballare per la gioia di Viṣṇu.

dancingshiva
Siva danzante

Colpito dalla richiesta, Viṣṇu predisse che Śiva, per la devozione e compassione mostrata da Ādiśeṣa, lo avrebbe fatto incarnare in un essere umano cosicché egli potesse offrire gioia all’umanità e soddisfare il suo desiderio di danzare.
Colmo di gioia per queste parole, Ādiśeṣa si chiese chi sarebbe diventata la madre che lo avrebbe accolto sulla terra.

Un giorno, mentre meditava, il Signore dei serpenti ebbe la visione di una devota yogini chiamata Gonika, un’asceta i cui giorni sulla terra erano già in gran parte trascorsi senza che essa avesse trovato un pupillo cui trasmettere tutte le sue conoscenze sullo yoga. Proprio in quel momento la devota si stava prostrando di fronte al Sole ad occhi chiusi, con le mani unite a coppa che racchiudevano della semplice acqua come offerta, implorandolo di benedirla con un figlio prima che il suo tempo finisse.

Ādiśeṣa comprese che quella sarebbe spatanjalitata la madre perfetta.

Proprio quando la donna, riaperti gli occhi, stava per offrire l’acqua al Sole, notò che fra le sue mani c’era un piccolo serpente che vi nuotava e che subito si trasformò in essere umano. Il piccolo umano si chinò davanti alla yogini e le chiese di accettarlo come figlio.
Gonika accettò e lo chiamò Patañjali.

Il nome Patañjali significa caduto sulle mani giunte in preghiera, dove “Pata“significa caduto, mentre “Añjali” offerta, ma anche mani giunte in preghiera.

I due anelli – S.N. Goenka

goenkaDi origine indiana, S.N. Goenka è nato e cresciuto in Birmania. In questo paese ebbe la fortuna di incontrare il maestro U Ba Khin e di imparare da lui la tecnica di meditazione “Vipassana”, che in lingua pali significa vedere in profondità. Dopo aver ricevuto l’insegnamento dal suo maestro per 14 anni, S.N. Goenka ritornò in India e lì, nel 1969, cominciò ad insegnare questa tecnica. In un paese ancora fortemente diviso da differenze di caste e religione, i suoi corsi attirarono persone di ogni strato sociale e anche molti stranieri provenienti da tutto il globo. S.N. Goenka è morto nel 2013 ma i corsi Vipassana sono oramai una realtà stabilita in tutto il mondo (in Italia il centro si trova in Toscana) e  un’ottima occasione per aiutarci in questo cammino. Io personalmente ho seguito due ritiri per il momento e entrambi sono stati esperienze intense ed importanti. Qui vi lascio con una storia che Goenka racconta per spiegare il concetto di anicca, ovvero impermanenza.

Un uomo ricco morì in età avanzata, lasciando due figli. Per qualche tempo essi continuarono a vivere secondo l’usanza indiana tradizionale, in un’unica famiglia allargata.anicca Poi litigarono, decisero di separarsi e dividere al cinquanta per cento le proprietà. A transazione avvenuta, trovarono un pacchettino che il padre aveva nascosto con cura. Lo aprirono e vi trovarono due anelli: uno aveva un diamante di notevole valore, l’altro era un semplice anello d’argento da poche rupie.
Vedendo il diamante, il fratello più anziano, preso dall’avidità, disse al giovane – “Mi sembra che quest’anello non sia di proprietà di nostro padre, ma piuttosto un bene ereditato dagli antenati, per questo l’ha tenuto separato dalla altre proprietà. Poiché è stato conservato in famiglia per generazioni, deve rimanere per le generazioni future ed essendo il primogenito, lo conserverò io. È meglio che tu prenda l’anello d’argento”. Il più giovane sorrise dicendo – “Va bene, sii felice con l’anello di diamanti, io sarò felice con l’anello d’argento”.
Entrambi indossarono al dito i rispettivi anelli ed andarono per la loro strada.
“E’ comprensibile che mio padre abbia custodito l’anello di diamanti, che è di grande valore, ma perché conservare un comune anello d’argento?” pensava il giovane. Esaminandolo attentamente si accorse che all’interno dell’anello vi era una scritta “Anche questo cambierà”. “Ecco il motto di mio padre!” pensò, rimettendo l’anello al dito.

Entrambi i fratelli dovetteimpermanencero affrontare gli alti e i bassi della vita. Quando arrivava la primavera, il fratello più anziano era felice e si esaltava. Quando arrivavano l’autunno o l’inverno, era colto da forte depressione. Divenne teso e sviluppò una forte ipertensione. Incapace di dormire cominciò ad assumere sonniferi, tranquillanti e ogni sorta di farmaci sempre più forti. Questo era il fratello con l’anello di diamanti.
Il fratello più giovane, quando arrivava la primavera ne godeva e, guardando il suo anello, si diceva: ” Anche questo cambierà”. Quando l’estate lasciava il posto all’autunno poteva sorridere e dire  – “Bene, sapevo che stava per cambiare. E’ cambiato, ecco tutto!”
Quando l’inverno diventava più rigido, di nuovo guardava il suo anello e diceva “Anche questo cambierà” Non si lamentava mai, sapendo che tutto sarebbe cambiato. E tutto davvero cambiava, passava, finiva. Negli alti e bassi della vita, durante tutte le vicissitudini egli sapeva che nulla è eterno, che ogni cosa viene solo per andarsene. Così non perse l’equilibrio mentale e visse una vita felice e in pace. Questo era il fratello con l’anello d’argento.