Elogio della lentezza

Al giorno d’oggi si è radicata la convinzione di dovere svolgere molte attività contemporaneamente per essere davvero produttivi e possibilmente in maniera veloce, per riuscire a fare tutto ciò che si deve fare. La nostra mente però non è multitasking e ce lo sta dimostrando: la nostra soglia di attenzione sta calando notevolmente a causa degli smartphone e i vari device che rendono la nostra vita più “comoda”.

Ultimamente si parla dello switch cost, il costo dello spostamento dell’attenzione: se controllo un messaggio mentre sto lavorando, non perdo solo il tempo per leggere il messaggio, ma anche il tempo di cui il cervello ha bisogno per tornare a concentrarsi. Secondo gli studiosi, il fatto di essere “inondati” di messaggi e notifiche ha come conseguenza quella di diminuire i livelli di attenzione anche oltre il 20% e di creare un costante stato di “ansia” che non permette di lavorare bene. 

Il corpo infatti rilascia i cosiddetti “ormoni dello stress”, gli stessi che un tempo servivano per mantenere l’attenzione vigile e che permettevano all’uomo di fuggire in caso di attacco o di lanciarsi all’inseguimento di una preda. Ma nella nostra società non esiste alcuna legge della giungla: a quell’istinto si è sostituito quello di controllare ossessivamente le notifiche.

Vari studi confermano che, per tornare alla piena funzionalità e concentrazione sul compito abbandonato occorrono dai 15 ai 25 minuti. Quindi, quando noi pensiamo di ottimizzare i tempi svolgendo velocemente una attività dopo l’altra o addirittura insieme, più che mettere a frutto, sfruttiamo. E sfruttare alla lunga non paga mai. Se ne stanno accorgendo anche le aziende: negli Stati Uniti, dove sono state condotte apposite ricerche, si stima che ogni anno le aziende perdano 28 miliardi di ore-uomo a causa dello switch cost.

Per fare bene le cose dobbiamo farne una alla volta prendendoci il giusto tempo e possibilmente con delle pause fra l’una e l’altra.

La lentezza è una qualità sofisticata, che il cervello ha conquistato nel tempo e che ci regala il piacere della contemplazione, il linguaggio e tutte le facoltà artistiche. La caratteristica comune di queste azioni di pensiero è che presuppongono una presa di coscienza

Uno dei miei scatti preferiti di sempre: un bambino incantato ad osservare il paesaggio sul treno in India

Una volta, chiedendo a delle mie allieve cosa le attirava della meditazione, una di loro mi ha dato una risposta bellissima: la capacità di incantarsi come quando era bambina. I bambini, nella loro spontaneità e nella loro ignoranza del concetto di tempo, sono ancora una volta nostri maestri: imparare a stare ai loro tempi è tanto difficile quanto emozionante e ci possono aiutare a vedere il mondo da un’angolazione più naturale, vera, spontanea. 

Buona lentezza a tutti!

La parola a Buddha

Una volta il Buddha stava camminando da una città ad un’altra con un alcuni dei suoi discepoli. Mentre erano in viaggio, raggiunsero un lago. Si fermarono lì e il Buddha disse ad un suo discepolo “sono assetato; potresti darmi un po’ d’acqua di questo lago?”

Il discepolo camminò lungo il fiume ma quando si avvicinò si accorse che proprio in quel momento un carretto trainato da un bue stava attraversando il lago. Come risultato, l’acqua era diventata molto torbida e fangosa. Il discepolo pensò “come posso dare quest’acqua torbida da bere a Buddha?”

Quindi tornò indietro e gli disse “l’acqua è molto torbida non penso sia il caso di berla”.  Dopo circa mezz’ora, Buddha chiese ancora allo stesso discepolo di tornare al lago e prendergli un po’ d’acqua da bere. Il discepolo obbedì e tornò al lago.

Anche questa volta trovò l’acqua fangosa, tornò indietro e lo informò della cosa. Dopo un po’ di tempo, Buddha chiese di nuovo allo stesso discepolo di tornare al lago. Il discepolo trovò il lago pulito e l’acqua estremamente limpida e pura. Il fango era sceso sul fondo e l’acqua in superficie sembrava perfetta per essere bevuta.

Così raccolse un po’ di acqua in un recipiente e la portò al Buddha. Egli guardò l’acqua e poi rivolgendosi al discepolo gli disse: “Guarda cos’ha reso l’acqua pulita: hai lasciato fare, e il fango si è depositato da solo sul fondo e tu hai potuto prendere l’acqua pura. Anche la tua mente è come questo lago. Quando è disturbata lascia stare, dalle un po’ di tempo e si calmerà da sola. Non devi sforzarti per calmarla, accadrà senza sforzo. Lascia che la mente sia come il lago che riflette tutte le nuvole che passano sopra di esso senza nessun attaccamento a queste”.

La scoperta dell’acqua calda

Scoprire l’acqua calda è una frase che si usa tipicamente per denigrare una scoperta, un’intuizione. Eppure, come spesso dico (e ne sono sempre più certa), sono le piccole rivoluzioni che fanno la vera differenza.
L’acqua calda non dovrebbe essere solo apprezzata quando facciamo un bagno ma dovrebbe diventare un’abitudine alimentare. La “tisana trasparente” infatti ha mille virtù.

Partiamo però dall’inizio: cosa si intende per acqua calda? Possiamo dire che è un’acqua che si trova per lo meno ad una temperatura intorno ai 37 gradi o più, in modo che sia calda almeno quanto il nostro corpo. Di conseguenza, l’acqua a temperatura ambiente non è un’acqua calda.

Ma perché bere acqua calda? Quando beviamo acqua fredda andiamo a creare quella che la medicina cinese chiama una stasi nel corpo. Il freddo infatti blocca, chiude, rallenta e nel lungo tempo tende a “raffreddare” la nostra energia, riducendo la nostra capacità di estrarre l’essenza dai cibi.
Quando invece beviamo acqua calda, andiamo a mobilizzare, a creare dinamicità, sostenendo quindi anche la digestione e il trasporto del cibo in tutto il corpo.

Immaginatevi quindi quale aiuto possa essere bere acqua tiepida o calda appena svegliati: una specie di booster per il corpo, per attivare l’organismo e la mobilità intestinale. Aggiungeteci uddiyana bandha (o nauli sa si sa fare) subito dopo e il risveglio diventa fantastico 😉

Ma bere acqua calda non dovrebbe diventare un’abitudine solo mattutina. Un po’ di acqua calda, tisana o una tazzina di brodo poco prima dei pasti ci aiuta a stimolare lo stomaco e preparalo ad accogliere il cibo. Anche la sera, momento yin per eccellenza, bere una tisana o comunque acqua calda è decisamente consigliabile. Durante i pasti invece, non si dovrebbe mai bere, neanche acqua calda, perché andiamo ad inzuppare i succhi gestrici e rendiamo molto più difficile la digestione. Bisognerebbe aspettare almeno un’oretta se non un’ora e mezza prima di bere dopo un pasto.

Ma come si può fare per avere sempre con sè dell’acqua calda? Semplicemente, invece della bottiglia d’acqua si prende un thermos, così oltretutto si può regolare la temperatura come più piace e eventualmente, se si preferisce, ci si può anche portare dietro una tisana.

Sembra tutto difficile? Vi assicuro che non è così, è una questione come sempre di abitudine e se proverete per qualche giorno di fila, sono sicura che noterete molto presto gli effetti benefici.
Le mie figlie sono un grande esempio: visto che io e il mio compagno beviamo quasi solamente acqua calda, anche loro sono sempre state abituate a berla, soprattutto la mattina. A volte chiedono comunque l’acqua fresca, che a casa nostra vuol dire a temperatura ambiente, ma spesso e volentieri sono proprio loro che richiedono la “tisana trasparente”, perché sentono che fa meglio alla loro pancia.

Ovviamente, il detto “in medio stat virtus” resta sempre quello più saggio: non dobbiamo diventare rigidi neanche su questa abitudine. È ovvio che d’estate possa venire maggiore voglia di bere acqua fresca ad esempio. Come sempre, bisogna imparare ad ascoltarsi. Ma prendere questa abitudine, posso assicurare, porterà innumerevoli benefici nella vostra vita quotidiana.

Buona acqua calda a tutti!

Sui bambini e sulle abitudini

Lunedì scorso Vera ha seguito tutta la lezione di yang yoga insieme alle mie fantastiche allieve, che la aiutavano a destreggiarsi fra destra e sinistra. Ha seguito tutto, dalla centratura iniziale fino allo shavasana, dal quale non si è più rialzata, caduta in un sonno profondo. Intanto Lua giocava di fianco a me parlando alle lampade e alla campana tibetana, con una voce bassa che non disturbava.

Questa mattina, svegliatesi prima del solito, quando io stavo per accingermi a meditare, ho proposto loro o di meditare insieme o di disegnare mentre io stavo in silenzio ad ascoltare il respiro. Hanno deciso di meditare e siamo state ben 11 minuti in silenzio, poi Lua ha detto con calma “adesso basta” e siamo andate a fare colazione.

Ricordo quando, ancora incinta di Vera, qualcuno mi diceva “ma ora come farai a insegnare in casa, è impossibile con dei bambini piccoli”.

I bambini saranno piccoli di statura, ma hanno un’apertura che noi ci sogniamo e l’abitudine è una grande maestra. Abituiamo i bambini al silenzio, e loro lo ricercheranno. Abituiamoli ai momenti di pausa, senza proporgli una attività dopo l’altra, e loro impareranno ad apprezzare i momenti morti e coltivare la pazienza. Trattiamoli come esseri umani speciali ricchi di risorse, senza pregiudizi, e loro fioriranno.

ps: chi vede Vera nella foto?! 🙂

Perché c’è tanta incomprensione nel mondo?

In questo periodo di grande crisi, dove esprimere la propria opinione diventa rischioso, in certi paesi maggiormente ma per vari aspetti anche nel nostro, credo che la risposta che dà Osho a questa domanda sia un aiuto per ricordarci dove guardare quando tutto sembra instabile. 
Eccovi quindi la sua risposta, secca, chiara e resistente al tempo che passa. 
 
“Perché gli uomini sono inconsapevoli. Perché gli uomini sono profondamente addormentati. Perché gli uomini sono dei robot. La comunicazione è impossibile: tu dici una cosa, e ne viene capita un’altra. Non c’è modo di comunicare. Si può comunicare solo in amore, attraverso il silenzio. Ma nessuno sa come essere in amore, e nessuno sa come essere in silenzio.
Solo nell’amore e nel silenzio la comunicazione è possibile. Ma noi non amiamo e non siamo in silenzio. Siamo talmente colmi di conoscenza… ecco perché la comunicazione è impossibile. Il linguaggio è una delle ragioni per cui c’è tanta incomprensione nel mondo. Tra gli animali, gli alberi, gli uccelli non c’è incomprensione, perché il linguaggio non esiste. Sono fortunati, non sanno nulla del linguaggio, quindi comunicano in amore, in silenzio. E questa ottusità è una benedizione per loro. L’uomo è l’unico animale che sa parlare. E proprio questo fenomeno è un problema”.
da“Il canto della meditazione”, pag. 110, ed. Oscar Mondadori 

Saturno contro? Ma sì dai

Saturno è un pianeta spesso frainteso, che nella mitologia popolare “porta sempre male” ed “è meglio non averci a che fare”: limiti, frustrazioni, delusioni e ostacoli sono gli aspetti che vengono attribuiti al Grande Maestro, e non a torto. Eppure, come sempre nella vita, sono le sofferenze, le paure, i limiti imposti che ci danno la forza per crescere e migliorarci. E soprattutto, secondo l’astrologia karmica siamo proprio noi che abbiamo scelto di nascere in quel dato giorno e orario per ricevere certe energie. Quando siamo anime pure, sappiamo cosa è meglio per noi, il difficile è ricordarselo quando siamo sulla terra.

Saturno può essere un ostacolo, questo non si può negare. Chi ha il nodo sud congiunto a Saturno spesso parte con qualche svantaggio, anche fisico a volte. Ma bisogna saper leggere questo svantaggio come una nostra risorsa alla quale attingere. Ed ecco che allora Saturno, il Vecchio Sapiente, usa la sofferenza come un messaggio per rivelarci quegli aspetti di noi stessi che hanno bisogno di attenzione e sviluppo. Rifuggire da questa sfera aumenterà solamente il nostro malessere invece di diminuirlo, mentre ascoltando ciò che Saturno cerca di insegnarci o dimostrarci trasformeremo gradualmente il nostro senso di inadeguatezza in una crescente sensazione di compiutezza, solidità e merito personale.

Saturno infatti premia, ma solo dopo aver visto il lavoro, la pazienza, la costanza, l’autocontrollo.

Detto questo, Saturno non è sempre così severo in un tema natale. Congiunzioni al nodo sud, retrogradazioni del pianeta, aspetti dissonanti sicuramente ci indicano un terreno di conflitto, che sarà poi compito dell’astrologo valutare e spiegare in base al singolo tema natale. Ma a volte Saturno può essere armonico, ad esempio se in congiunzione col nodo nord, che ci indica anzi un grande lavoro compiuto in vite passate sugli aspetti di perseveranza, attenzione, impegno.

Ma quindi, Saturno può essere contro? Dipende! Il più grande problema dell’astrologia ai giorni nostri è che ci sono migliaia di siti e migliaia di astrologi che preferiscono generalizzare invece che basarsi sul singolo individuo. Se c’è una cosa della quale bisogna diffidare, sono quindi le persone che dicono “Saturno entra nell’Acquario, allerta nazionale”. Non ha senso. Siamo tutti singoli, magnifici individui e generalizzare è quello che la società contemporanea richiede perché è più veloce, più facile da comprendere, più banale, più alla portata di tutti.

Non banalizziamo quindi. E non diamo la colpa a Saturno 🙂

Il sole e la nuvola

A casa abbiamo un libro bellissimo, un omaggio a Gianni Rodari per il centenario della sua nascita, avvenuto nel 2020. A Vera piace tantissimo e ogni singola storia è una perla. 

Sarà la stagione, sarà che oggi mi è tornata in mente, ho deciso di condividere, con chi ancora non la conoscesse o con chi non la ricordava, la storia de Il Sole e la Nuvola. I commenti sono inutili, le parole di Rodari dicono già tutto. Buona lettura!

Illustrazione di Marco Paschetta per “Il Sole e la Nuvola”, tratto dal libro Cento Gianni Rodari. Cento Storie e filastrocche. Cento illustratori.

Il sole viaggiava in cielo, allegro e glorioso sul suo carro di fuoco, gettando i suoi raggi in tutte le direzioni, con grande rabbia di una nuvola di umore temporalesco, che borbottava: “Sciupone, mano bucata, butta via, butta via i tuoi raggi, vedrai quanti te ne rimangono”.

Nelle vigne ogni acino d’uva che maturava sui tralci rubava un raggio al minuto, o anche due; e non c’era filo d’erba, o ragno, o fiore, o goccia d’acqua, che non si prendesse la sua parte.

“Lascia, lascia che tutti ti derubino: vedrai come ti ringrazieranno, quando non avrai più niente da farti rubare”.

Il sole continuava allegramente il suo viaggio, regalando raggi a milioni, a miliardi, senza contarli.

Solo al tramonto contò i raggi che gli rimanevano: e, guarda un po’, non gliene mancava nemmeno uno. La nuvola per la sorpresa, si sciolse in grandine.

Il sole si tuffò allora allegramente nel mare.

Balasana, la posizione del bambino

Balasana non è chiamata la posizione del bambino a caso. I bambini dormono effettivamente rannicchiati in questa posizione per molto tempo. Lua, che ha adesso tre anni e mezzo, ci dorme ancora spesso.

I bimbi sono fini intenditori, perché questa posizione è un vero toccasana e infatti viene frequentemente usata nelle sequenze di asana, soprattutto come controposizione dopo gli inarcamenti della schiena, ma anche come momento distensivo e di defaticamento. Io ogni tanto mi faccio proprio dei pisolini in balasana, proprio come mia figlia Lua.

La posizione classica vuole le ginocchia unite, i talloni aperti verso l’esterno, le braccia allungate lungo i fianchi. Questa è la posizione migliore per rilassare completamente anche le spalle. Non è detto che per tutti sia fattibile, ma si possono provare moltissime alternative, anche con l’ausilio di bolster o coperte.

Balasana riduce l’affaticamento e lo stress e grazie all’allungamento delle vertebre allevia le tensioni nella schiena. Aiuta nella riduzione del mal di testa e, portando una lieve pressione sullo stomaco, rilassa gli organi addominali e di conseguenza può essere un sostegno contro i crampi mestruali. Per molte persone balasana risulta complessa perché può tirare molto a livello dei fianchi, delle ginocchia, delle cosce e delle caviglie. Questo ostacolo si può risolvere grazie all’ausilio di un cuscino, una coperta o un bolster appoggiato tra i glutei e le caviglie e, se si è regolari, alla lunga aiuta proprio ad allungare queste parti del corpo.

Nella pratica dello yin yoga, dove le posizioni vengono mantenute per anche 5 o più minuti, balasana viene eseguita perché massaggia e stimola il funzionamento degli organi interni, come lo stomaco, la milza e il pancreas.

Ma soprattutto balasana ci riporta al nostro bambino interiore, che dorme beatamente e sicuro. Se praticata regolarmente può essere di sostegno nella cura dell’insonnia e per alleviare lo stress psicofisico. Potrei continuare ancora ma come sempre la cosa migliore è provare e scoprire di persona. Quindi, buon risposo… ops, buon balasana a tutti!

La fine è l’inizio

Una volta avevo sentito dire una frase che purtroppo non sono più riuscita a ritrovare che diceva più o meno così: all’inizio del viaggio guardavo la montagna e pensavo fosse una montagna; una volta intrapreso il viaggio guardavo la montagna e capivo che non era una montagna. Ora che sono alla fine del viaggio so che la montagna è una montagna. È una frase che mi ha dato una profonda serenità e una grande fiducia nella vita e nei suoi cicli, oltre che nel nostro lavoro di evoluzione qui, su questo piano terrestre. Tentando di cercare quella frase, mi sono imbattuta in questa di Thomas Stearns Eliot, che più o meno racchiude la stessa profonda saggezza: Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta E’ nel ritorno che si coglie veramente l’essenza di questo viaggio fantastico che è la vita. Ri-vedere, ri-scoprire, ri- conoscere e rendersi conto che forse solo ora vediamo per la prima volta. Lo yoga mi ha dato la stessa sensazione. All’inizio mi sono buttata, ho provato, seguito, viaggiato rincorrendolo, ho poi avuto dei momenti di distacco, di delusione e poi ho ripreso, variando, ri-facendo, cambiando il mio modo di praticare e di insegnare. E non è ancora finita e non finirà fino a quando giungerò all’ultimo respiro! Nell’astrologia karmica i nodi lunari, punti essenziali per lo studio e l’analisi di questa disciplina, impiegano circa 18 anni a terminare un ciclo completo lungo tutto lo zodiaco e tornare sullo stesso punto in cui si trovavano alla nostra nascita. Questi cicli sono molto importanti perché danno una spinta ulteriore all’anima per mettersi in ascolto, trovare una sintesi rispetto al ciclo appena concluso per incamminarsi con maggiore consapevolezza in quello nuovo. La ciclicità è la chiave di tutto, che si tratti di grandi o piccole rivoluzioni. E allora oggi onoro la fine di un particolare ciclo, quello cominciato nel settembre 2022 e che terminerà il 20 luglio 2023. Ringrazio tutti voi: ogni singolo allievo che ho avuto il piacere di conoscere, che sia venuto per pochissimo tempo o col quale si sia instaurato un legame più profondo, ha contribuito e contribuisce tutt’ora a questo nuovo sguardo che spero di poter portare e rinnovare sempre in me. Buona estate e arrivederci a settembre!

Svādhyāyā, il quarto niyama

स्वाध्यायाद् इष्टदेवतासंप्रयोगः ॥ २.४४ ॥

svādhyāyād iṣṭadevatāsaṃprayogaḥ || 2.44 ||

«Per effetto della preghiera ci si incontra con la divinità prescelta» 

Siamo arrivati al quarto e penultimo niyama, svādhyāyā. Il termine deriva dalla radice sanscrita sva, che significa “sé” o “proprio”, e adhyaya, che significa “lezione”, “lettura” o “conferenza”. Può anche essere interpretato come proveniente dalla radice dyhai, che significa “meditare” o “contemplare”. Entrambe le interpretazioni connotano uno studio approfondito del sé, supportato dalla recitazione dei mantra e in generale dei testi sacri. 

Con svādhyāyā ci avviciniamo alla sfera più elevata dello yoga: solo attraverso uno studio profondo del sè possiamo giungere a una comprensione più elevata e di unione. 

La meditazione e la pratica del respiro consapevole sono le basi. Il lavoro sul tappetino è il primo step per andare verso questa conoscenza: come pratichiamo le asana? Ci distraiamo o riusciamo ad essere presenti? Com’è il nostro respiro? Breve, affannato, lungo, profondo? Viene dall’addome o dal torace?

Svādhyāyā però non si può restringere al solo momento in cui siamo sul tappetino, la vera sfida arriva nel quotidiano: mettersi in gioco ogni momento, osservarsi nei comportamenti, nelle nostre re-azioni, nelle parole.

Come reagisco quando sono nervoso, arrabbiato, quando qualcosa non va come mi aspettavo? Ma posso anche osservare come mi vesto, come ringrazio, come mangio… tutti questi piccolissimi gesti quotidiani ci dicono chi siamo veramente. Anche osservare i propri pensieri è un ottimo lavoro: realizzare quali pensieri entrano regolarmente nella nostra mente ci aiuta a diventare consapevoli di molti aspetti di noi stessi che magari a primo acchito tendiamo a sottovalutare.

La pratica di svādhyāyā richiede satya, (verità), per vedere noi stessi da un punto di vista onesto, tāpas (disciplina), ahiṃsā (non violenza), che ci ricorda di guardare a noi stessi senza giudizio o critica, ma con amore e compassione. Amore e compassione sono sempre la base per ottenere un sano risultato.

“Conoscere gli altri è intelligenza; conoscere te stesso è la vera saggezza. Padroneggiare gli altri è forza; padroneggiare te stesso è il vero potere.“
Lao Tzu 

Buona pratica a tutti!