I due anelli – S.N. Goenka

goenkaDi origine indiana, S.N. Goenka è nato e cresciuto in Birmania. In questo paese ebbe la fortuna di incontrare il maestro U Ba Khin e di imparare da lui la tecnica di meditazione “Vipassana”, che in lingua pali significa vedere in profondità. Dopo aver ricevuto l’insegnamento dal suo maestro per 14 anni, S.N. Goenka ritornò in India e lì, nel 1969, cominciò ad insegnare questa tecnica. In un paese ancora fortemente diviso da differenze di caste e religione, i suoi corsi attirarono persone di ogni strato sociale e anche molti stranieri provenienti da tutto il globo. S.N. Goenka è morto nel 2013 ma i corsi Vipassana sono oramai una realtà stabilita in tutto il mondo (in Italia il centro si trova in Toscana) e  un’ottima occasione per aiutarci in questo cammino. Io personalmente ho seguito due ritiri per il momento e entrambi sono stati esperienze intense ed importanti. Qui vi lascio con una storia che Goenka racconta per spiegare il concetto di anicca, ovvero impermanenza.

Un uomo ricco morì in età avanzata, lasciando due figli. Per qualche tempo essi continuarono a vivere secondo l’usanza indiana tradizionale, in un’unica famiglia allargata.anicca Poi litigarono, decisero di separarsi e dividere al cinquanta per cento le proprietà. A transazione avvenuta, trovarono un pacchettino che il padre aveva nascosto con cura. Lo aprirono e vi trovarono due anelli: uno aveva un diamante di notevole valore, l’altro era un semplice anello d’argento da poche rupie.
Vedendo il diamante, il fratello più anziano, preso dall’avidità, disse al giovane – “Mi sembra che quest’anello non sia di proprietà di nostro padre, ma piuttosto un bene ereditato dagli antenati, per questo l’ha tenuto separato dalla altre proprietà. Poiché è stato conservato in famiglia per generazioni, deve rimanere per le generazioni future ed essendo il primogenito, lo conserverò io. È meglio che tu prenda l’anello d’argento”. Il più giovane sorrise dicendo – “Va bene, sii felice con l’anello di diamanti, io sarò felice con l’anello d’argento”.
Entrambi indossarono al dito i rispettivi anelli ed andarono per la loro strada.
“E’ comprensibile che mio padre abbia custodito l’anello di diamanti, che è di grande valore, ma perché conservare un comune anello d’argento?” pensava il giovane. Esaminandolo attentamente si accorse che all’interno dell’anello vi era una scritta “Anche questo cambierà”. “Ecco il motto di mio padre!” pensò, rimettendo l’anello al dito.

Entrambi i fratelli dovetteimpermanencero affrontare gli alti e i bassi della vita. Quando arrivava la primavera, il fratello più anziano era felice e si esaltava. Quando arrivavano l’autunno o l’inverno, era colto da forte depressione. Divenne teso e sviluppò una forte ipertensione. Incapace di dormire cominciò ad assumere sonniferi, tranquillanti e ogni sorta di farmaci sempre più forti. Questo era il fratello con l’anello di diamanti.
Il fratello più giovane, quando arrivava la primavera ne godeva e, guardando il suo anello, si diceva: ” Anche questo cambierà”. Quando l’estate lasciava il posto all’autunno poteva sorridere e dire  – “Bene, sapevo che stava per cambiare. E’ cambiato, ecco tutto!”
Quando l’inverno diventava più rigido, di nuovo guardava il suo anello e diceva “Anche questo cambierà” Non si lamentava mai, sapendo che tutto sarebbe cambiato. E tutto davvero cambiava, passava, finiva. Negli alti e bassi della vita, durante tutte le vicissitudini egli sapeva che nulla è eterno, che ogni cosa viene solo per andarsene. Così non perse l’equilibrio mentale e visse una vita felice e in pace. Questo era il fratello con l’anello d’argento.

 

Jala Nētih, l’irrigazione nasale

Eccoci arrivati ad un secondo topic molto importante e ujala netitile: la pulizia delle fosse nasali.

Questa tecnica è in verità conosciuta in Occidente e si usa prevalentemente nei bambini per evitare la somministrazione di farmaci. Certo, i bambini vanno protetti… e noi adulti?!

Per mia personale esperienza, da quando ho iniziato ad usare il jala neti per anni e anni non ho più accusato i raffreddori che prima mi si presentavano frequentemente persino in estate. Poi c’è stato un peggioramento dovuto a questioni ambientali particolarmente ostili e ho dovuto ricorrere al atha nētih, del quale però parlerò settimana prossima e che potrebbe apparire molto più spaventoso all’inizio.

Ma iniziamo dal principio: per pulire le fosse nasali servono acqua tiepida, sale (io uso quello rosa himalayano) e una lota nētih, un recipiente simile a una teiera. Io aggiungo sempre anche una goccia di tea tree oil per avere un maggiore effetto antibatterico, ma non è essenziale, mentre il sale è veramente importante. Mi raccomando: è importante che l’acqua sia tiepida e non troppo fredda o troppo calda, in modo che non disturbi la mucosa interna e passi meglio!

jala neti anatomy

Perché praticare jala nētih? L’ostruzione delle vie nasali impedisce al respiro di fluire liberamente nel nostro corpo, togliendoci la capacità di presiedere alle funzioni vitali dell’organismo e ai processi di percezione sensoriale e psichica. In questo modo un banale disturbo della respirazione finisce per pregiudicare la salute e il benessere generale di tutto il corpo. Una pratica costante dello Jala nētih, attraverso la pulizia delle fosse nasali, permette di prevenire i disturbi da raffreddamento, le sinusiti, allevia le allergie, migliora l’olfatto, rende più libera la respirazione. Inoltre il flusso dell’acqua decongestiona gli occhi e le orecchie, stimolando i relativi nervi cranici e rendendo la mente più chiara.

L’esecuzione è molto facile: si riempie la lota con acqua tiepida e salata (all’incirca un cucchiaino di sale per una lota piena), si introduce quindi il beccuccio in una narice piegando la testa lateralmente. A questo punto l’acqua scorrerà all’interno della narice e fuoriuscirà dall’altra. All’inizio il procedimento potrebbe apparire ostico, in realtà basta respirare con calma e non forzare nulla e tutto avverrà in maniera armoniosa. Dopo aver fatto un lato e prima di eseguire l’operazione dall’altra parte, occorre soffiare fuori delicatamente tutta l’acqua tappando l’altra narice ed espirando con forza. Questa operazione porterà via con sé i residui (muco, batteri, polveri, inquinanti) che in mancanza di questa pulizia rimarrebbero all’interno del nostro organismo. Dopodiché si ripete con l’altra narice.

Alcuni studenti mi chiedono quando eseguire questa pratica: mattina o sera? Io la praticavo principalmente la mattina, ma anche la sera ha il suo perché. Per la periodicità, io personalmente la eseguivo tutti i giorni, ma dipende da come ci si sente e non mi sembra il caso di essere tassativi con questa pratica.

Sembra facile… lo è ancora di più farlo!

Oil Pulling

Nell’articolo di settimana scorsa abbiamo parlato dello Jihwa Dhauti, la pulizia della lingua. In questo articolo continuiamo con la cura del cavo orale parlando dell’oil pulling, il degno proseguimento del Jihwa Dhauti.

Dopo aver effettuatooil pulling quindi la pulizia della lingua col nettalingua la cosa migliore è spazzolare dolcemente i denti con uno spazzolino diverso da quello che usiamo abitualmente, senza usare dentifricio o altro. Basta semplicemente spazzolare in modo da togliere i residui più grandi che si sono formati fra gli interstizi.

Dopo di ché si passa all’oil pulling per espellere i residui più sottili. Questa tecnica prevede l’utilizzo di un cucchiaino di olio a scelta fra quello di sesamo o ancora meglio di cocco (rigorosamente biologici e spremuti a freddo) da mettere in bocca e facendolo passare accuratamente tra i denti, le gengive, sulla lingua e in generale in tutte le zone della cavità orale per alcuni minuti (da 10 ad anche 20 minuti) prima di sputarlo.

Questa pratica rimuove le restanti tossine e i batteri accumulatisi durante la notte, che vengono raccolti dall’olio e quindi espulsi definitivamente dal corpo. Con questa tecnica si prevengono l’alito cattivo e le malattie dovute alla prolificazione di batteri nocivi nel nostro corpo e si aiuta la disintossicazione dai metalli pesanti. Inoltre, grazie alle sostanze presenti negli oli, soprattutto quello di cocco, denti e gengive vengono rafforzati, il rischio di sanguinamento delle gengive diminuisce e in generale i denti risultano più bianchi.

Sicuramente può sembrare una pratica più impegnativa poiché richiede dai 10 ai 20 minuti per essere ben svolta, ma anche qui si può trovare il modo di ottimizzare il tempo e renderla un’abitudine. Un esempio può essere preparare la tavola per la colazione, stendere la biancheria, lavare le stoviglie che magari non avevamo voglia di pulire la sera o molte altre faccende. Inoltre se si è in coppia, il fatto di non poter parlare è un buon modo per svegliarsi e sentirsi più presenti, più concentrati e avere un piccolo spazio per sé stessi (molto spesso ho sentito dire da persone che lo eseguono questa cosa).

Anche qui, provare per credere!

Jihwa Dhauti, pulizia della lingua

jibbi-netta linguaFra le tecniche di purificazione ayurvediche e dello Yogi una che sicuramente è fra le più praticate è quella della pulizia del cavo orale, lo jihwa dhauti, dove jihwa significa lingua e dhauti pulizia interna.

Oltre all’abituale pulizia dei denti l’ayurveda considera infatti essenziale la pulizia della lingua stessa. Su questa ogni mattina quasi tutti troviamo una patina biancastro-giallastra, che spesso persiste per tutta la giornata. Questa patina segnala la presenza di batteri ma non è da vedere come qualcosa di negativo, al contrario! Essa rappresenta il tentativo del nostro organismo di disintossicarsi. Durante la notte infatti il nostro fantastico corpo trasporta verso la lingua le varie tossine, da qui anche l’alito pesante che spesso sentiamo appena svegliati.

Possiamo dare un validissimo contributo al lavoro del nostro corpo utilizzando il nettalignua, un raschietto realizzato in rame o in acciaio inox che va passato alcune volte sulla lingua delicatamente partendo dalla parte più interna e proseguendo verso l’esterno in modo tale da raccogliere e portare via tutto ciò che vi si è depositato sopra, sciacquando dopo ogni passaggio.mirror-tongue-diagnosis1

Una pulizia quotidiana della lingua non solo aiuta l’organismo a non riassorbire le tossine, ma contrasta l’alito cattivo, protegge i denti e le gengive, migliora le funzioni immunitarie. Inoltre jihwa dhauti attiva la produzione degli enzimi salivari, che hanno il compito di iniziare la trasformazione del cibo in modo che le sostanze nutritive utili possano poi essere assorbite dall’organismo, stimolando la nostra digestione lungo tutto l’arco della giornata.

In occidente si pensa che la cosa più sana del mondo sia bere appena svegliati dell’acqua con limone o lavarsi i denti, ma non è così: bere subito dell’acqua infatti rimette in circolo le tossine che il nostro corpo ha meticolosamente portato in superficie durante la notte, mentre spazzolino e dentifricio svolgono un’azione quasi nulla poiché non rimuovono la patina. Per fortuna oramai anche molti dentisti e dottori occidentali stanno iniziando a consigliare questa facilissima tecnica.

Potete iniziare questa sana abitudine anche con un banale cucchiaio, giusto per vedere l’effetto che fa. In pochi giorni sentirete già di avere un alito meno pesante e vi diventerà molto facile rendere abituale questo banalissimo gesto. Provare per credere : )

Jalandhara Bandha

Jala in sanscrito può essere tradotto con corso d’acqua, una massa di liquido che fluisce. Il termine dhara invece indica una rete, ma anche il concetto di trattenere, intrappolare.

Per pjala1raticare Jalandhara Bandha correttamente è necessario aprire bene il petto e lo sterno, allungare la schiena e collocare il mento nella forca dello sterno, tra le clavicole. In tal modo si realizza una delle condizioni basilari di Jalandhara, l’estensione della zona cervicale, assicurando una compressione quasi ideale a livello della zona del collo.

Con questa chiusura un particolare flusso di energia viene imprigionato nel plesso cervicale, evitandone la dispersione e favorendone invece la canalizzazione in shushumna, il condotto centrale energetico, di cui si paerlerà in un altro articolo.

Jalandhara bandha può essere quindi descritto come un gesto che imprigiona un fitto gruppo di nervi e di vasi. Il flusso liquido invece, a diversi livelli di sottilità, sjalandhara bandhai riferisce tanto al sangue quanto alla linfa, quanto all’energia, cui viene impedito di scendere verso la gola e oltre.

La pratica corretta di questo bandha stimola la tiroide e la paratoroide, dirige il flusso dell’energia pranica direttamente verso il cuore,  sigilla l’aria nel torace e stira la regione cervicale della colonna, stimolando il quinto chakra all’altezza della gola, il Vishuddha chakra.

Uddiyana Bandha

La parola sanscrita uddiyana significa sollevare o volare alto, che, accompagnata dal termine bandha, ci da l’idea di una chiusura che obbliga la risalita del diaframma verso il petto.

Uddiyana bandha è una delle prime pratiche che insegno e che consiglio di fare anche a casa giornalmente. Da un punto di vista energetico permette all’energia di risalire lungo sushumna nadi (il condotto centrale energetico, che corrisponde al midollo spinale e di cui parleremo in un altro articolo), risvegliando tutti i chakra. Per questo motivo nello Hatha Yoga Pradipika uddiyana viene considerato il migliore fra i bandha.

Questo di per sé sarebbe più che sufficiente per praticare quotidianamente uddiyana bandha, ma i benefici non si fermano qui.

Questa tecnica provoca bradicardia sinusale, ovvero una riduzione della frequenza cardiaca. Durante l’esecuzione inoltre, la parte lombare della colonna vertebrale viene stirata, mentre la parte sacrale viene spinta verso l’alto, dando sollievo alla schiena.Tutto l’addome viene strizzato come una spugna, gli organi interni vengono stimolati nelle loro funzioni e rivitalizzati e questo aiuta a prevenire o a ridurre un gran numero di disturbi tra cui costipazione, indigestione, coliti, purché non siano in forma grave.
Uddiyana bandha inoltre aiuta i muscoli addominali a mantenere la loro tonicità e previene la congestione della zona pelvica, rimuovendo il grasso eccessivo che si deposita sulla parete addominale.

All’inizio il modo migliore per approcciarsi alla tecnica è portandosi in piedi, flettendo un poco le gambe e appoggiando le mani sulle ginocchia o sulle cosce.
Dopo di che si effettua un’espirazione profonda, avendo cura di buttare fuori tutta l’aria, usando anche la bocca per facilitare l’operazione. A questo punto si compie una pseudo-inspirazione in modo che l’aria non penetri nei polmoni, ma il torace si espanda come in un’inspirazione normale.
Il diaframma, di conseguenza, si solleva e tutto l’addome è come risucchiato contro la spina dorsale, assumendo così un aspetto concavo.
La posizione flessa del corpo rende più accentuata questa cavità (ricuddiyana-bandha-300x183ordiamoci che nell’inspirazione normale il diaframma si abbassa quando il torace si espande: durante uddiyana bandha, invece, il diaframma si innalza).
Si tiene quindi la posizione fino a che non si sente uno forte stimolo ad inspirare, abbandonando così il bandha e effettuando una normale inspirazione.

Consiglio sempre di abituarsi a praticarlo la mattina a digiuno, almeno 4 o 5 ripetizioni, magari dopo aver bevuto un pochino di acqua tiepida. Insieme alle yogini mattutine che seguono le lezioni di pranayama e meditazione lo pratichiamo per cinque minuti consecutivamente e trovo che sia un tempo molto piacevole per sentirne bene gli effetti.

 

 

Mula Bandha, la Radice

Nello Hatha Yoga Pradipika sono menzionati 3 bandha: Mula Bandha, Uddiyana Bandha e Jalandhara Bandha.

I bandha sono delle contrazioni muscolari che hanno lo scopo di convogliare l’energia in un punto preciso del corpo per evitare che avvengano dispersioni.

Degli altri due bandha parlerò successivamente, mentre in questo articolo ci addentreremo nello specifico nel primo, il Mula Bandha.

Mula in sanmula-bandha-intelligenceflamescrito significa radice, fonte, origine, ma anche causa, base o fondamenta. Questo bandha interessa i muscoli della regione inferiore dell’addome, cioè dall’ano al perineo. Il movimento di contrazione di questi muscoli deve essere direzionato all’interno, cioè verso la colonna vertebrale e verso l’alto, in direzione del nostro ombelico. Questa è anche l’area dove viene collocato il primo Chakra, il Muladhara (Mula= radice, fonte – adhara = sostegno o parte vitale).

Per aiutare i suoi studenti a trovare il Mula Bandha, Richard Freeman, uno dei più famosi insegnanti di Ashtanga Yoga, dà questo suggerimento: «Se espiri in profondità e molto lentamente, noterai che al termine dell’espirazione i muscoli del pavimento pelvico sono allena­ti naturalmente a espellere anche l’ultima particella di aria. È in questo punto che de­vi cercare Mula Bandha. È molto complesso ma, al tempo stesso, molto semplice».

mula bandaAttraverso  questa  tecnica agiamo  direttamente sul  plesso  pelvico  stimolando in questo modo  il sistema  parasimpatico  pelvico  che  ha  come funzione quella di allentare spasmi o blocchi presenti, molto spesso, nel basso dell’addome. Il concetto chiave è mantenere la contrazione imparando al contempo a rilassare la zona.

I benefici fisici che questa tecnica apporta sono quasi infiniti: favorisce la stabilità; permette un movimento più corretto e naturale degli arti; evita di comprimere la spina dorsale quando si esegue una flessione all’indietro; crea più spazio sotto l’addome, con vantaggi per le torsioni.

«Praticando Mula Bandha – spiega Freeman – si può sviluppare la consapevolezza precisa del­l’asse centrale del corpo. Si può imparare a eseguire i movimenti dalla parte inferiore dell’addome, in modo da sentire il pavimento pelvico e utilizzarlo per facilitare l’allineamento del corpo. Questa tecnica, inoltre, permette di integrare i movimenti nell’esecuzione degli asana e offre una sensazione di grande benessere. Si diventa più vivaci, più intuitivi, più sensibili e più abili a esprimere le sensazioni con ogni parte del corpo attraverso il movimento».

Ma attenzione: per gli occidentali, che hanno una vita spesso molto stressante, la pratica errata di Mula Bandha può avere un impatto più negativo che positivo. Infatti, nella nostra vita frenetica, la zona pelvica è già abbastanza sottoposta a tensioni causate da troppo lavoro, sentimenti di fallimento e delusione che molto spesso proviamo. Il risultato è che enfatiz­ziamo fin troppo la contrazione della zona pelvica, senza però sapere come rilassarla al contempo.Per capire se arre­ca vantaggi anziché svantaggi, la prima indicazione è sempre fidarsi delle proprie sensazioni. Se il bandha viene eseguito correttamente, si dovrebbe sentire una grande vitalità e una sensibilità più sviluppata, nonché una postura più salda e un rilassamento della schiena. Se l’esercizio non produce questi effetti positivi, allora è meglio non eseguirlo per un po’ e riprovarlo in un altro momento  valutandone nuovamente gli effetti.

La Magia del Respiro

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Carlos Castaneda

Quest’estate ho letto il mio terzo libro di Carlos Castaneda, “Il dono dell’Acquila”.

Castaneda era un antropologo, ma è soprattutto diventato famoso per la sua serie di 12 libri in cui ha descritto il suo percorso di iniziazione allo Sciamanesimo mesoamericano.
Non è un autore facile, bisognerebbe leggere i suoi libri in ordine cronologico per avere una visione d’insieme, cosa che io purtroppo non ho fatto. Sicuramente fra i miei progetti futuri c’è quello di seguire questa chiave di lettura per poter meglio comprendere un autore così interessante e importante per aiutarci a cogliere ciò che esiste oltre il puro mondo materiale.
Ciononostante ho deciso di lasciare qui un estratto da questo libro che riguarda l’importanza del respiro nelle tecniche usate dagli iniziati per progredire nel loro cammino. Il testo è un po’ ostico ma ha una sua poesia se si legge senza tentare di dargli un senso puramente logico. Così ve lo lascio sperando possa esservi d’ispirazione 🙂
[…]Florinda spiegava che l’elemento chiave del ricapitolare era la respirazione. Il respiro per lei era magico perché era una funzione vitale. Diceva che era facile ricordare se si poteva ridurre l’aria di stimolazione intorno al corpo. Per questo era necessario lo scatolone, così la respirazione avrebbe favorito ricordi sempre più profondi.[…]
Florinda mi riferì che il benefattore le aveva ordinato di scrivere un elenco di avvenimenti da rivivere. Le aveva detto che la procedura si avvia con un respiro iniziale. I cacciatori cominciano col mento sulla spalla destra, inalando lentamente mentre ruotano il capo per un arco di centottanta gradi. Il respiro termina sulla spalla sinistra. Finito di inalare la testa torna in posizione rilassata. Esalano guardando dritto davanti a sé. 

Poi il cacciatore prende il primo avvenimento della lista e ci si sofferma finché non ha ricordato ogni sensazione ad esso collegata. Mentre i cacciatori ricordano le sensazioni connesse a tutto quel che è oggetto di ricapitolazione, inalano adagio, ruotando la testa dalla spalla destra alla sinistra. Questa respirazione ha il compito di ridare energia. Florinda affermava che il corpo luminoso crea in continuazione filamenti simili a ragnatele che sono proiettati fuori dalla massa luminosa, spinti da svariate emozioni. Di conseguenza ogni interazione oppure qualsiasi altra situazione che coinvolga i sentimenti, depaupera potenzialmente il corpo luminoso. I cacciatori, respirando da destra a sinistra, mentre ricordano una sensazione, con la magia del respiro raccolgono i filamenti che si sono lasciati dietro. Il respiro che viene subito dopo, va da sinistra a destra ed è un’esalazione; con questo i cacciatori espellono i filamenti lasciati loro da altri corpi luminosi coinvolti in quel che si sta ricordando…

Carlos Castaneda, Il Dono dell’Aquila