Tāpas, il fuoco interiore

कायेन्द्रियसिद्धिरशुद्धिक्षयात्तपसः॥४३॥

Kāyendriyasiddhiraśuddhikṣayāttapasaḥ||2.43||

«Dalla distruzione delle impurità mediante la volontà cosciente (tāpas) si ottiene la perfezione degli organi di senso e del corpo»

Tāpas è i terzo niyama e deriva dalla radice sanscrita del verbo tap che contiene diversi significati fra i quali prima di tutto calore e poi volontà, fervore, rigore ascetico. Tāpas è la disciplina che nello yoga ci permette di ottenere, come il versetto sopra dice, il pieno controllo degli organi di senso, del corpo e della mente.

L’associazione simbolica con l’elemento fuoco, agni nella tradizione indiana, è molto importante: il fuoco porta ad un processo di trasformazione che produce energia sotto forma di calore, luce. Ed è proprio la determinazione a perseguire il cammino verso la liberazione che alimenta il nostro fuoco interiore e che ci permette di bruciare le impurità del corpo grazie a qualità come l’autodisciplina, la forza di volontà, l’ardore, la pazienza e la piena intenzione di raggiungere lo scopo. Questo è quindi tāpas, il cammino dello yogi verso la piena consapevolezza di sè.

Tāpas è il compendio delle cinque virtù di “yama” e delle prime due di “niyama, che insieme formano i primi due rami dello yoga. 

Il ricercatore spirituale che realizzi la propria ascesi è colui il quale vive la vita secondo queste importanti virtù e che si mantiene in salute mediante la pratica delle posizioni, la giusta attenzione al proprio respiro, un’alimentazione sana ed equilibrata nel rispetto dell’ambiente e della vita di tutti gli esseri, l’abitudine a meditare costantemente. Questo è quanto la scienza dello yoga insegna per apprendere una conoscenza autentica e assoluta della vita, per esplorare la realtà e acquisire consapevolezza del proprio essere.

Sasangasana, la posizione del coniglio

Sasangasana è una delle mie posizioni preferite, e posso dire lo stesso per molti dei miei allievi.
Sebbene sia a tutti gli effetti una posizione invertita, ovvero facente parte di quelle posizioni in cui la testa si trova in una posizione più bassa rispetto al cuore, è molto più facile da eseguire e questo permette di godere di tutti i benefici di questa tipologia di posizioni senza mettere il corpo sottosopra. Può essere così un ottimo sostituto delle verticali durante il ciclo mestruale, o semplicemente quando preferiamo fare una pratica più dolce. Ma non sottovalutiamo per questo motivo questa posizione, che è comunque intensa per la colonna vertebrale e soprattutto per il tratto cervicale. Chi ha fastidi severi alla schiena e soprattutto al tratto cervicale deve infatti porre attenzione a sasangasana, così come chi soffre di glaucoma o pressione alta non ben controllata. 

disegno di Eloisa Scichilone, in “La posizione dell’orso, lo yoga allegro di Merudan”

Parlando dei benefici, sasangasana

  • migliora la postura
  • ottimizza i processi digestivi
  • riduce l’indolenzimento alla schiena e al collo
  • ossigena le cellule cerebrali riducendo la sensazione di fatica mentale, ansia e depressione
  • regola nello specifico il metabolismo del calcio (gestito dalle ghiandole tiroide e paratiroidi)
  • Stimola le ghiandole endocrine dell’organismo, regolando e mantenendo un buon equilibrio metabolico in generale

Buona posizione del coniglio a tutti!

Saṅtoṣā, la gioia dell’accontentarsi

संतोषाद् अनुत्तमः सुखलाभः ॥४२॥

saṅtoṣād anuttamaḥ sukhalābhaḥ ॥42॥

Dalla contentezza scaturisce la felicità suprema

Saṅtoṣā è il secondo niyama descritto negli Yoga Sutra di Patanjali. Il termine deriva dal sanscrito sam, che significa “completamente” o “del tutto”, e “toṣā”, (pronunciato tosha), che significa “soddisfazione” o “accettazione”.

Saṅtoṣā è un atteggiamento. Se siamo abituati ad essere infelici e brontolare, rischiamo di essere infelici e brontolare anche nelle migliori situazioni.

Questo niyama ci insegna che la forza della felicità è misurata dal nostro atteggiamento davanti alle situazioni avverse. Se tutto va liscio, il nostro sorriso non vale nulla: dovremmo imparare a sorridere anche quando le nostre sicurezze vacillano o addirittura crollano

Saṅtoṣā è una pratica. Essere felici incondizionatamente è una pratica. E dobbiamo svilupparla da soli, perché nessun altro può farlo per noi. Se qualcun altro o qualcos’altro ce la dà, sarà solo una felicità temporanea.

Saṅtoṣā è strettamente collegato con il primo niyama, śaucā. Quando Patanjali scrive che śaucā, la purezza, comporta l’abbandono della fisicità e la cessazione del contatto fisico con le cose esterne, intende che se siamo costantemente in contatto con altre persone, allora non permettiamo al nostro vero io di emergere e mostrarsi. Dal momento che siamo sempre in associazione con qualcun altro, ci perdiamo e non sappiamo chi siamo, non ci conosciamo. Per questo dobbiamo mantenere un po’ di distanza e un po’ di tempo per noi stessi: per imparare a conoscere qual è la nostra vera forza, qual è la nostra vera debolezza, qual’è la parte più pura e autentica di noi, quella che non può essere corrotta. Solo quando avremo sviluppato śaucā potremo scoprire saṅtoṣāla vera contentezza.

Ma come fare, quando siamo sopraffatti da un’emozione forte?

Pensiamo alla tragedia della morte. Quando qualcuno muore, la miseria prende il sopravvento e quel periodo è chiamato aśaucā, nel senso che non c’è śaucā, non c’è purezza perché la mente è afflitta dalla tristezza. Quindi in India, i 10 giorni dopo la morte di qualcuno sono considerati aśaucā: per 10 giorni si può piangere, affliggersi, autocommiserarsi.

L’undicesimo giorno la famiglia si riunisce e festeggia, indossando abiti nuovi e scambiandosi doni: la vita continua. Addirittura, se muore una persona con un elevato piano spirituale, non c’è lutto nemmeno per un giorno. Ogni momento è una celebrazione perché lo spirito è onnipresente.

Allo stesso modo, pensiamo a un evento diametralmente opposto: la nascita di un bambino. Anche in questo caso c’è aśaucā per dieci giorni, perché siamo così euforici per la nuova anima che non siamo veramente presenti a noi stessi. Quindi si festeggia, si dimenticano tutti gli impegni, si gioisce e basta. All’undicesimo giorno, si torna presenti.

Ecco che la vera contentezza risiede in un equilibrio delle emozioni, non nell’euforia, che invece è temporanea. Ecco perché śaucā e saṅtoṣā vanno insieme. Se non c’è śaucā, non può esserci saṅtoṣā.

Buona pratica della contentezza a tutti!

Śauca, il primo Niyama

शौचात् स्वाङ्गजुगुप्सा परैरसंसर्गः॥४०॥

 śaucāt svāṅga-jugupsā parairasaṁsargaḥ ॥40॥

La purezza comporta l’abbandono della fisicità e la cessazione del contatto fisico con le cose esterne

Così viene introdotto negli Yoga Sutra di Patanjali il termine Śauca, il primo fra gli Niyama, che viene generalmente tradotto come purezza, pulizia. Fra i suoi vari significati incontriamo anche defecazione, cosa che rende ben chiaro sotto quale aspetto dobbiamo considerare questa pulizia. E infatti quando parliamo di purificazione, la tradizione ayurvedica intende proprio una pulizia del corpo accurata, eseguita attraverso gli shatkarma, le sei azioni purificatrici di cui ho già scritto ma di cui lascio qui un piccolo riassunto:

  • Dhauti, per la pulizia del tratto digestivo superiore;
  • Basti, per la pulizia del colon.
  • sutra neti , che riguarda la pulizia nasale; per questa pulizia si può anche ricorrere a una versione più blanda, jala neti, che anche se non è segnato fra gli shatkarma può comunque essere un valido aiuto
  • Trataka, che riguarda la pulizia degli occhi.
  • Nauli, che riguarda la pulizia e il rafforzamento dell’addome (e sul quale noi stiamo lavorando proprio ora in classe abituandoci a uddiyana bandha);
  • Kapalabhati, per la pulizia dei polmoni e dei bronchi, ma che ha anche un effetto rinforzante sul sistema nervoso e tonificante per gli organi digestivi

Quindi la pratica personale comincia dalla purificazione del corpo, per poi proseguire in territori sempre più sottili come parole, azioni e pensieri.

Il versetto dopo infatti recita:

सत्त्वशुद्धिसौमनस्यैकाग्र्येन्द्रियजयात्मदर्शनयोग्यत्वानि च॥४१॥

 sattva-śuddhiḥ saumanasya-ikāgry-endriyajaya-ātmadarśana yogyatvāni ca ॥41॥

I. K. Taimni traduce questo versetto così: From mental purity (arises) purity of Sattva, cheerful-mindedness, one-pointedness, control of the senses and fitness for the vision of the Self.

Un’altra traduzione che mi piace molto di questo passo si trova ne “Il cuore dello Yoga” di T.K.V. Desikachar, e recita:

Praticare la pulizia rivela ciò che va continuamente pulito e ciò che invece è eternamente puro. Ciò che si corrompe è esterno a noi, ciò che non si corrompe è profondamente in noi.

Quindi, pulizia in senso profondo, partendo dal grosso per andare poi sempre più in profondità, fino a trovare quel qualcosa che è sempre puro e che mai potrà essere contaminato.

Buona pulizia e buon cammino a tutti!

L’inverno, la Tartaruga, l’acqua

Il ciclo dei cinque elementi nella MTC

Tra pochissimi giorni entriamo definitivamente nell’inverno. L’elemento Metallo, simbolo dell’autunno, ha condensato e interiorizzato l’energia, riportando il “qi” dalla periferia del corpo verso l’interno e facendo scendere i liquidi verso il basso. Così facendo ha generato l’elemento successivo, Acqua, simbolo della nuova stagione. L’energia dell’inverno, della notte, del freddo, della paura sono proprie di Acqua, espressione del massimo yin. 

La tartaruga è l’animale che la cultura cinese mette in relazione con l’inverno, quando nel cielo si può vedere la sua costellazione, e quindi con l’elemento Acqua.

Questo animale è il simbolo dell’energia forte e nascosta, dello yin, perché essa può far rientrare la testa e le zampe e vivere all’interno, ben protetta nel suo carapace, reclusa. In questo modo la tartaruga rinnova la sua energia e diviene il simbolo della longevità e dell’inverno, quando la natura sembra morire, mentre invece si prepara proprio a rigenerarsi.

Dire acqua è dire paura, come quella provata dagli antichi di fronte alle inondazioni, così frequenti in Cina, percorsa da grandi fiumi. Ma la paura ci dà forza e non a caso la tartaruga è anche un potente talismano, simbolo della forza nascosta che sa combattere e vincere. Il suo nome segreto da invocare nei momenti di paura era “guerriero oscuro”.

Questo animale viene visto e vissuto dai cinesi come un cosmo in miniatura: fra la sua scaglia arrotondata superiore, che richiama il cielo e quella piatta inferiore, che richiama la terra, si sviluppa l’uomo. La tartaruga è quindi l’immagine di un universo primitivo da sviluppare, discende da un mondo fonte, originario. 

Il suo ritirarsi nella corazza rappresenta un’attitudine spirituale fondamentale: ritirarsi dal mondo e saper scendere nel profondo del proprio cuore. Per questo i testi sacri suggeriscono all’uomo di imitare questo animale e sapersi ritirare e imparare a distaccarsi dalle cose materiali. Il silenzio può portarci a ritrovare lucidità mentale, fiducia in noi stessi, stima di sé, per ritornare a lottare con un’energia nuova, rinforzando la volontà per sormontare difficoltà e ostacoli e affrontare le paure.

Kurmasana, la posizione della tartaruga

Ecco il vero volto dell’inverno: il momento per una pausa di riflessione, di introspezione, per rigenerarsi e ripartire con più forza e volontà. Non a caso a questa stagione e al suo elemento viene associata una valenza psicologica, lo zhi, che tradotto significa proprio volontà. I meridiani simboli di questa stagione sono Rene e Vescica Urinaria. Quando l’energia dei reni è potente, l’individuo è ben radicato al suolo (il punto 1 di rene si trova sotto la pianta del piede), con la colonna vertebrale ben dritta, presente alla vita. E quando la schiena è forte e dritta, l’uomo vive ben ancorato alla Terra e teso al Cielo e affronta la vita con determinazione e vitalità, realizzando le proprie potenzialità.

Con l’immagine della tartaruga saluto il 2022 e tutti voi che mi leggete, augurandovi durante le feste un periodo di raccoglimento e rigenerazione, per poi entrare a testa alta e coi piedi ben piantati al suolo nel nuovo anno!

Prendi un sorriso

Poeta, filosofo, avvocato, politico, autentica guida spirituale e pioniere della satyagraha (disobbedienza civile), Mohandas Karamchand Gandhi è famoso in tutto il mondo per aver portato l’India all’indipendenza attraverso la pratica della non violenza. Egli infatti asseriva: “Il genere umano può liberarsi della violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza. L’odio può essere sconfitto soltanto con l’amore. Rispondendo all’odio con l’odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità dell’odio stesso”.

Conosciuto universalmente come Mahatma, che significa grande Anima, egli però rifiutò sempre tale epiteto, in quanto riteneva ridicola la distinzione tra “grandi anime” e “piccole anime”, essendo tutti gli uomini uguali di fronte a Dio.

Prendi un sorriso è una sua poesia che esprime perfettamente il suo credo e la sua grande forza.

Prendi un sorriso,
Regalalo a chi non l’ha mai avuto.
Prendi un raggio di sole,
Fallo volare là dove regna la notte.
Scopri una sorgente,
fai bagnare chi vive nel fango.
Prendi una lacrima,
Posala sul volto di chi non ha pianto.
Prendi il coraggio,
Mettilo nell’animo di chi non sa lottare.
Scopri la vita,
Raccontala a chi non sa capirla.
Prendi la speranza
E vivi nella sua luce.
Prendi la bontà
E donala a chi non sa donare.
Scopri l’amore
e fallo conoscere al mondo.

Storia di Svetaketu – Tat Tvam Asi

“Tat Tvam Asi”, “Tu sei QUELLO” è uno dei più significativi insegnamenti derivanti dalla Chandogya Upanishad, importante testo della filosofia vedanta. Qui trovate un articolo in riguardo, ma oggi vi lascio con questa storia, che nella sua semplicità contiene una grande saggezza. 

Svetaketu visse molte migliaia di anni fa in India. Quando tornò a casa dopo aver completato la sua lunga educazione, era diventato piuttosto presuntuoso.

Le scuole di quei tempi non erano migliori di quelle di oggi: una sfilza di date e battaglie, di nomi di capitali, insomma una educazione nozionistica. Così, alla fine della scuola non sai ancora niente di te stesso, di cosa vuoi fare della tua vita e di come essere felice. E ad essere onesti, questo è tutto ciò che conta, o no?

Il padre di Svetaketu lo sapeva ed era preoccupato per suo figlio. “Sai QUELLO, sapendo il quale tutto è noto?”, chiese a suo figlio. Svetaketu borbottò qualcosa: “Ho imparato tutti gli shloka a memoria, so come occuparmi del fuoco rituale e quel genere di cose. Ma di QUELLO, sapendo il quale tutto è noto, non ne ho mai sentito parlare.”

Il padre di Svetaketu sospirò e pensò che avrebbe dovuto prendere lui stesso in mano la situazione. Essendo un uomo d’azione, non aspettò. Chiese a Svetaketu di portargli un fico e il figlio glie lo portò. “Dividilo”, ordinò il padre con l’autorità naturale di un uomo saggio. Svetaketu divise il fico e vi trovò molti semi. Suo padre ne prese uno e lo diede a Svetaketu. “Dividilo”, disse di nuovo. Svetaketu fece come gli era stato detto. La sua arroganza era scomparsa. Svetaketu era aperto, era curioso e si fidava. “Cosa vedi?” chiese suo padre, un lieve sorriso sulle labbra. Svetaketu guardò negli occhi profondi e infiniti di suo padre e rispose: “Niente. Niente affatto”.

Il grande Saggio parlò: QUELLA essenza che tu non percepisci, da QUELLA sorge il fico. QUELLA essenza è la realtà. QUELLA essenza è il mondo intero. Poi il Saggio prese suo figlio tra le braccia e gli sussurrò questa grande verità all’orecchio: “Tu sei QUELLO, Svetaketu”.

 

Metallo, l’elemento dell’Autunno

Ideogramma di Metallo

Con l’arrivo dell’autunno entra in scena l’elemento Metallo. Per capire questo elemento possiamo partire dal suo ideogramma: esso rappresenta un tetto a protezione di un sottosuolo ricco di pepite di metallo che si condensano in seno alla terra.

Il metallo è fermo e solido, ma al contempo è anche malleabile. Contiene quindi in sè la qualità della trasformazione: solo quando la temperatura si abbassa e le sostanze si condensano esso prende forma; la sua tendenza è quindi quella di condensare e interiorizzare. Questo elemento ama la raccolta e la discesa, per questo è deputato a eliminare ed eliminando cambia e modifica il corpo e i suoi equilibri. Il suo organo è il polmone, mentre il viscere a lui connesso è l’intestino crasso. Entrambi raccolgono, condensano ed eliminano i liquidi, regolando l’umidità del corpo: il polmone raccoglie l’aria e la convoglia all’interno del corpo, l’intestino crasso raccoglie e convoglia le scorie alimentari verso il basso.

Lo stesso accade al “qi”,l’energia vitale: dopo il periodo estivo in cui esso circolava sulla superficie del corpo, adesso il qi si porta verso l’interno e i liquidi scendono in basso. Da qui poi si origina poi il nuovo ciclo, quello invernale legato all’elemento Acqua.

L’uomo Metallo in buon equilibrio è una persona saggia, riflessiva, integra, con grande capacità di giudizio. Possiamo pensare ad un uomo pienamente maturo che ha seminato e ora raccoglie i frutti, li usa nella maniera migliore e poi lascia andare ciò che non è più necessario. La parola d’ordine per il benessere e l’equilibrio di questo elemento è infatti “lasciar andare”: lasciare andare il passato, lasciare andare le emozioni negative, lasciare andare la rigidità. Malinconia, tristezza, rigiditàsono infatti tratti tipici di questo elemento quando la persona non è in equilibrio e il rischio è che da qui si possa passare alla depressione.

Il meridiano di Polmone, di natura yin, origina dai pollici e sale su fino alle clavicole

I meridiani di polmone e intestino crasso circolano lungo le braccia e quindi quando vogliamo stimolare questo elemento è qui che puntiamo.

Il meridiano di Intestino Crasso, di natura yang, origina dalle narici e scende giù fino agli indici

Ricordate che per ogni organo e viscere ci sono due meridiani speculari l’uno all’altro, quindi vanno sempre stimolati entrambi per fare un buon lavoro.

Buon autunno a tutti!

 

Da “Educare alla vita”, di Jiddu Kishnamurti

Quando si viaggia, ci si accorge di come la natura umana sia ovunque la stessa, in India e in America, in Europa o in Australia. Questo vale soprattutto per le scuole secondarie e l’università. Stiamo creando, quasi usassimo uno stampo, un tipo di individuo il cui interesse supremo è quello di trovare la sicurezza, di diventare importante o di divertirsi pensando il meno possibile.

L’educazione tradizionale rende estremamente difficile il pensiero indipendente e il conformismo porta alla mediocrità. Essere diversi dal gruppo o resistere all’ambiente non è facile, e può essere rischioso se amiamo il successo più di ogni altra cosa. Il bisogno di avere successo, che è poi il perseguimento della ricompensa nella sfera materiale o in quella cosiddetta spirituale, la ricerca di sicurezza interiore o esteriore, il desiderio di conforto: tutto questo frena lo scontento, pone fine alla spontaneità e genera paura; e la paura blocca la comprensione intelligente della vita. Così, con il passare degli anni, l’apatia della mente e del cuore prendono il sopravvento. Cercando di ottenere conforto, di solito ci ritagliamo uno spazio protetto dove il conflitto sia ridotto al minimo, e poi abbiamo paura a uscire dal nostro isolamento.

Questa paura della vita, della lotta o di nuove esperienze uccide in noi lo spirito di avventura; l’educazione e l’istruzione ricevute ci hanno inculcato la paura di essere diversi dagli altri, il timore di pensare in contrasto con il modello socialmente stabilito, e ci hanno resi falsamente rispettosi di autorità e tradizione. Per fortuna esistono persone seriamente disposte a esaminare i problemi umani senza pregiudizi di destra o di sinistra; ma nella stragrande maggioranza di noi non c’è un vero spirito di scontento o di rivolta. Quando ci pieghiamo con rassegnazione all’ambiente circostante, qualsiasi spirito di ribellione possiamo avere avuto si spegne, e ben presto le nostre responsabilità vi pongono fine. Esistono due tipi di ribellione: c’è quella violenta, che è mera reazione, senza comprensione, contro l’ordine esistente; e c’è la profonda ribellione psicologica dell’intelligenza. Molti si ribellano alle ortodossie ufficiali solo per cadere in nuove ortodossie e illusioni, o in forme celate di autoindulgenza. Spesso accade che abbandoniamo un gruppo o un insieme di ideali ed entriamo in un nuovo gruppo, abbracciamo altri ideali, creando così un nuovo modello di pensiero a cui ancora una volta dovremo ribellarci.

La reazione genera solo opposizione, e una riforma ha sempre bisogno di riforme successive. Esiste però una ribellione intelligente che non è reazione, ma che viene con la conoscenza di sé attraverso la consapevolezza dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti. Solo affrontando l’esperienza così come si presenta, senza evitarne gli aspetti negativi, possiamo mantenere l’intelligenza veramente sveglia; e l’intelligenza attiva al suo grado più alto è l’intuizione, che è l’unica vera guida nella vita.

Ora, qual è il significato della vita? Per che cosa viviamo e lottiamo? Se riceviamo un’istruzione solo per distinguerci, per avere un lavoro migliore, per essere più efficienti, per meglio dominare gli altri, allora le nostre vite saranno futili e vuote. Se riceviamo un’istruzione solo per diventare scienziati, o studiosi dediti esclusivamente ai libri, o specialisti drogati dal sapere, allora stiamo contribuendo alla distruzione e alla miseria del mondo. Anche se nella vita c’è un significato più ampio e più elevato, che valore ha l’educazione se non ci aiuta a scoprirlo?

Possiamo essere molto istruiti, ma senza un’integrazione profonda tra pensiero e sentimento le nostre vite sono incomplete, contraddittorie e lacerate da mille paure; e finché l’educazione non coltiva una visione integra della vita, il suo significato è ben poca cosa. Nella civiltà odierna abbiamo diviso la vita in così tanti scomparti che l’istruzione ha pochissimo peso, se non per imparare una particolare tecnica o una professione. Invece di risvegliare l’intelligenza integra dell’individuo, essa lo incoraggia a conformarsi a un modello, ostacolando così la sua comprensione di sé come processo totale. Cercare di risolvere i tanti problemi dell’esistenza ai loro diversi livelli, separati come sono in varie categorie, denota una totale mancanza di comprensione. L’individuo è formato da elementi diversi, ma enfatizzare le differenze e incoraggiare lo sviluppo di un aspetto specifico produce complicazioni e contraddizioni.

L’educazione dovrebbe determinare l’integrazione di questi elementi separati, perché senza integrazione la vita si trasforma in una serie di conflitti e di dolori. Che valore ha studiare da avvocati se perpetuiamo le controversie? Che valore ha il sapere se rimaniamo nella nostra confusione? Che significato hanno le abilità tecniche o industriali se le usiamo per distruggerci a vicenda? Che senso ha la nostra esistenza se ci porta alla violenza e alla desolazione totale? Anche se abbiamo denaro o siamo in grado di guadagnarne, anche se abbiamo i nostri piaceri e le nostre religioni organizzate, siamo in perenne conflitto. Dobbiamo distinguere tra ciò che è personale e l’individuo in sé. Il personale è accidentale, e con questo intendo riferirmi alle circostanze della nascita e all’ambiente in cui per caso siamo cresciuti, con il suo nazionalismo, le sue superstizioni, le distinzioni di classe e i pregiudizi. Il personale o accidentale è solo momentaneo, anche se il momento può durare tutta la vita; e poiché l’attuale sistema educativo si basa sul personale, sull’accidentale, sul momentaneo, esso porta a una perversione del pensiero e inculca paure autodifensive. Siamo stati tutti abituati dall’educazione e dall’ambiente a cercare la sicurezza e il vantaggio personale, e a lottare per noi stessi. Anche se lo dissimuliamo con espressioni gradevoli, siamo stati formati per le varie professioni all’interno di un sistema basato sullo sfruttamento e sull’avidità dettata dalla paura.

Questo tipo di preparazione deve per forza portare confusione e miseria a noi e al mondo, perché crea negli individui quelle barriere psicologiche che lo separano e lo tengono lontano dagli altri. L’istruzione non riguarda solo l’addestramento della mente: l’esercizio favorisce l’efficienza, ma non determina la completezza. Una mente che è stata soltanto addestrata è la continuazione del passato, e una mente così non può mai scoprire il nuovo. Ecco perché, per individuare il giusto tipo di educazione, dobbiamo indagare l’intero significato della vita. Per la maggior parte di noi, il senso della vita nella sua totalità non è di primaria importanza, e l’educazione che riceviamo mette l’accento su valori secondari, limitandosi a renderci competenti in qualche campo del sapere. Le conoscenze e l’efficienza sono necessarie, ma dare loro un’importanza eccessiva genera solo conflitto e confusione. Vi è un tipo di efficienza ispirata dall’amore che supera di molto ed è ben più nobile dell’efficienza dell’ambizione; e senza l’amore, che permette una comprensione integra della vita, l’efficienza genera crudeltà. Non è forse questo che accade ora nel mondo?

La nostra educazione attuale è funzionale all’industrializzazione e alla guerra, visto che il suo scopo principale è sviluppare l’efficienza; e noi siamo prigionieri di questa macchina di competizione spietata e di distruzione reciproca. Se l’educazione porta alla guerra, se ci insegna a distruggere o a essere distrutti, non ha forse fallito in pieno? Per proporre il giusto tipo di educazione, dobbiamo ovviamente comprendere il significato della vita nella sua totalità, e per farlo dobbiamo essere in grado di pensare, non in modo rigido, ma in modo diretto e vero. Un pensatore rigido è una persona irriflessiva, perché si conforma a un modello; ripete frasi fatte e non esce dagli schemi. Non si può comprendere la vita in astratto o teoricamente; comprendere la vita significa comprendere noi stessi, ed è questo il principio e il fine dell’educazione.

L’educazione non consiste solo nell’acquisizione di conoscenze, nel raccogliere dati e metterli in correlazione; essa consiste nel capire il significato della vita nella sua totalità. Ma la totalità non può essere avvicinata attraverso la parte, che è poi quello che tentano di fare i governi, le religioni organizzate e i partiti autoritari. La funzione dell’educazione è creare esseri umani integri, e perciò intelligenti. Possiamo prendere la laurea ed essere meccanicamente efficienti senza essere intelligenti: l’intelligenza non è solo conoscenza; non viene dai libri, e nemmeno consiste di abili risposte autodifensive e di affermazioni aggressive. Una persona che non ha studiato può essere più intelligente di una istruita. Abbiamo fatto di esami e diplomi il criterio per misurare l’intelligenza, e abbiamo sviluppato menti brillanti che evitano però le questioni fondamentali dell’uomo. L’intelligenza è la capacità di percepire l’essenziale, il ciò che è; e risvegliare questa capacità, in noi e negli altri, è vera educazione.

L’educazione dovrebbe aiutarci a scoprire valori duraturi, così da non lasciarci aggrappare a formule o alla ripetizione di slogan; dovrebbe aiutarci ad abbattere le barriere sociali o nazionali, invece di accentuarle, poiché generano antagonismo tra gli uomini. Purtroppo l’attuale sistema educativo ci rende sottomessi, meccanici e profondamente ottusi; anche se ci stimola intellettualmente, dentro ci lascia incompleti, vuoti e privi di creatività. Senza una comprensione integra della vita, i nostri problemi individuali e collettivi diventeranno solo più profondi e più ampi.

Il fine dell’educazione non è creare semplici eruditi, tecnici e carrieristi, ma uomini e donne integri e liberi dalla paura; poiché solo tra individui di questo genere può esistere una pace durevole. Solo con la comprensione di noi stessi possiamo mettere fine alla paura. Se un individuo deve cimentarsi con la vita momento per momento, se deve affrontarne le complessità, le miserie e gli imprevisti, deve essere assolutamente flessibile e dunque libero da teorie e schemi di pensiero specifici. L’educazione non dovrebbe incoraggiare l’individuo ad adeguarsi o a conformarsi sterilmente alla società, dovrebbe aiutarlo a scoprire i valori veri che derivano da un’indagine obiettiva e dalla consapevolezza di sé. Se non vi è conoscenza di sé, l’espressione individuale diviene autoaffermazione, con il suo fardello di conflitti aggressivi e ambiziosi.

L’educazione dovrebbe risvegliare la capacità di essere autoconsapevoli e non limitarsi ad assecondare una gratificante espressione di sé. Cosa c’è di buono nell’apprendere se nel corso della vita non facciamo che distruggerci? Considerata la sequela di guerre devastanti che scoppiano ovunque, una dopo l’altra, deve per forza esserci qualcosa di radicalmente sbagliato nel modo in cui cresciamo i nostri figli. Penso che la maggior parte di noi sia consapevole di questo, ma non sappiamo come affrontarlo. I sistemi, sia educativi che politici, non subiscono trasformazioni misteriose; mutano quando in noi si produce un cambiamento radicale. L’individuo, e non il sistema, è la cosa più importante; e finché l’individuo non comprende interamente il suo processo interiore nessun sistema, di destra o di sinistra, potrà portare nel mondo ordine e pace.

L’errore, un input inatteso

Questa estate come regalo di compleanno al mio compagno ho deciso di regalargli/ci un incontro con un pittore, visto che con le nostre figlie ci divertiamo tantissimo a disegnare e, proprio grazie a loro, abbiamo riscoperto questo bellissimo mondo.

Per puro caso (sapendo che il caso non esiste, ovviamente), un giorno abbiamo trovato il nostro insegnante, Claudio Jaccarino, pittore, scrittore ma anche un po’ filosofo. L’esperienza è stata molto bella e come sempre accade in questi casi, una volta di più ho avuto la conferma che tutto è unione, tutto deriva da un unicum e se sei onesto con te stesso tutte le strade portano alla stessa meta. 

Ci sono stati due momenti che mi hanno molto colpita. Il primo è stato quando Claudio, parlando degli acquarelli, ha detto che questi lo hanno molto rilassato, cambiandogli proprio il temperamento. Infatti l’acquarello ti dimostra palesemente che tutto cambia e che questo è inevitabile. L’acqua infatti, anche quando tu credi di aver terminato il disegno, continua a mutare la struttura, il colore, il senso stesso del disegno. Se segui quest’onda, se accogli il cambiamento, imparerai a lasciarti andare e ad accogliere ciò che arriva, istante per istante.

Un altro momento che mi ha colpita è stato quando Claudio ha raccontato un aneddoto su Herbie Hancock. Credo che sia una riflessione molto bella quanto semplice e soprattutto, adattabile a ogni situazione e stile di vita e per questo la  riporto qui sotto: 

“Herbie Hancock, pianista e compositore di fama mondiale ed anche buddhista, una volta ha raccontato: «Anche nel jazz non ci sono note giuste e note sbagliate». Fu Miles Davis, che nel 1963 lo chiamò a far parte della sua leggendaria band, a insegnargli «come trasformare il veleno in medicina» durante un concerto del loro quintetto a Stoccolma, nel 1967. «Era una di quelle rare serate di perfezione musicale e di totale sintonia con il pubblico», racconta, spiegando che, «dopo uno straordinario assolo di Miles, in una pausa chiave, inciampai su una corda, stonando clamorosamente». Hancock si rese subito conto dell’errore. «Mi sembrava di aver frantumato una magnifica scultura di cristallo». Ma il vero shock arrivò subito dopo, quando si accorse che Davis aveva risposto al suo errore con un’improvvisazione musicale che lo incorporava nel fraseggio, rendendolo plausibile. «Invece di giudicare la mia stonatura come brutta e sbagliata, Miles la accolse come uno input inatteso, trasformandola in qualcosa di bello e virtuoso». Fu una grande lezione d’arte e di vita. «Come il buddhismo, anche il jazz è collaborazione, dialogo, tolleranza, altruismo e libertà»”. 

Con l’augurio per tutti di noi di accogliere i mutamenti e saper sorridere e trarre lezione dai proprio errori, inizio questo settembre, che per me è sempre il primo vero mese del nuovo anno.