Questo essere umano è un piccolo albergo

Nella scorsa lezione di yin yoga ho letto queste righe di Rumi, che mi hanno colpito molto e non hanno bisogno di alcun commento.

ve le lascio quindi per assaporarle al meglio e chissà che non possano ispirarvi durante la meditazione. Buona lettura!

Questo essere umano è un piccolo albergo.

Ogni giorno un nuovo arrivo.

Una gioia, una depressione, una meschinità,

qualche momentanea consapevolezza giunge

come un visitatore inaspettato.

Dà il benvenuto e intrattienili tutti!

Anche se essi sono una folla di dispiaceri

che spazzano via la tua casa

e la svuotano dei suoi arredi,

ciononostante, onora ogni ospite.

Egli ti può svuotare

e creare spazio

per qualche nuova delizia.

Il pensiero cupo, la vergogna, la malizia

incontrali alla porta ridendo

ed invitali ad entrare.

Sii grato verso chiunque arrivi,

perché ognuno è stato inviato

come una guida dall’aldilà.

Elogio della lentezza

Al giorno d’oggi si è radicata la convinzione di dovere svolgere molte attività contemporaneamente per essere davvero produttivi e possibilmente in maniera veloce, per riuscire a fare tutto ciò che si deve fare. La nostra mente però non è multitasking e ce lo sta dimostrando: la nostra soglia di attenzione sta calando notevolmente a causa degli smartphone e i vari device che rendono la nostra vita più “comoda”.

Ultimamente si parla dello switch cost, il costo dello spostamento dell’attenzione: se controllo un messaggio mentre sto lavorando, non perdo solo il tempo per leggere il messaggio, ma anche il tempo di cui il cervello ha bisogno per tornare a concentrarsi. Secondo gli studiosi, il fatto di essere “inondati” di messaggi e notifiche ha come conseguenza quella di diminuire i livelli di attenzione anche oltre il 20% e di creare un costante stato di “ansia” che non permette di lavorare bene. 

Il corpo infatti rilascia i cosiddetti “ormoni dello stress”, gli stessi che un tempo servivano per mantenere l’attenzione vigile e che permettevano all’uomo di fuggire in caso di attacco o di lanciarsi all’inseguimento di una preda. Ma nella nostra società non esiste alcuna legge della giungla: a quell’istinto si è sostituito quello di controllare ossessivamente le notifiche.

Vari studi confermano che, per tornare alla piena funzionalità e concentrazione sul compito abbandonato occorrono dai 15 ai 25 minuti. Quindi, quando noi pensiamo di ottimizzare i tempi svolgendo velocemente una attività dopo l’altra o addirittura insieme, più che mettere a frutto, sfruttiamo. E sfruttare alla lunga non paga mai. Se ne stanno accorgendo anche le aziende: negli Stati Uniti, dove sono state condotte apposite ricerche, si stima che ogni anno le aziende perdano 28 miliardi di ore-uomo a causa dello switch cost.

Per fare bene le cose dobbiamo farne una alla volta prendendoci il giusto tempo e possibilmente con delle pause fra l’una e l’altra.

La lentezza è una qualità sofisticata, che il cervello ha conquistato nel tempo e che ci regala il piacere della contemplazione, il linguaggio e tutte le facoltà artistiche. La caratteristica comune di queste azioni di pensiero è che presuppongono una presa di coscienza

Uno dei miei scatti preferiti di sempre: un bambino incantato ad osservare il paesaggio sul treno in India

Una volta, chiedendo a delle mie allieve cosa le attirava della meditazione, una di loro mi ha dato una risposta bellissima: la capacità di incantarsi come quando era bambina. I bambini, nella loro spontaneità e nella loro ignoranza del concetto di tempo, sono ancora una volta nostri maestri: imparare a stare ai loro tempi è tanto difficile quanto emozionante e ci possono aiutare a vedere il mondo da un’angolazione più naturale, vera, spontanea. 

Buona lentezza a tutti!

La parola a Buddha

Una volta il Buddha stava camminando da una città ad un’altra con un alcuni dei suoi discepoli. Mentre erano in viaggio, raggiunsero un lago. Si fermarono lì e il Buddha disse ad un suo discepolo “sono assetato; potresti darmi un po’ d’acqua di questo lago?”

Il discepolo camminò lungo il fiume ma quando si avvicinò si accorse che proprio in quel momento un carretto trainato da un bue stava attraversando il lago. Come risultato, l’acqua era diventata molto torbida e fangosa. Il discepolo pensò “come posso dare quest’acqua torbida da bere a Buddha?”

Quindi tornò indietro e gli disse “l’acqua è molto torbida non penso sia il caso di berla”.  Dopo circa mezz’ora, Buddha chiese ancora allo stesso discepolo di tornare al lago e prendergli un po’ d’acqua da bere. Il discepolo obbedì e tornò al lago.

Anche questa volta trovò l’acqua fangosa, tornò indietro e lo informò della cosa. Dopo un po’ di tempo, Buddha chiese di nuovo allo stesso discepolo di tornare al lago. Il discepolo trovò il lago pulito e l’acqua estremamente limpida e pura. Il fango era sceso sul fondo e l’acqua in superficie sembrava perfetta per essere bevuta.

Così raccolse un po’ di acqua in un recipiente e la portò al Buddha. Egli guardò l’acqua e poi rivolgendosi al discepolo gli disse: “Guarda cos’ha reso l’acqua pulita: hai lasciato fare, e il fango si è depositato da solo sul fondo e tu hai potuto prendere l’acqua pura. Anche la tua mente è come questo lago. Quando è disturbata lascia stare, dalle un po’ di tempo e si calmerà da sola. Non devi sforzarti per calmarla, accadrà senza sforzo. Lascia che la mente sia come il lago che riflette tutte le nuvole che passano sopra di esso senza nessun attaccamento a queste”.

Sui bambini e sulle abitudini

Lunedì scorso Vera ha seguito tutta la lezione di yang yoga insieme alle mie fantastiche allieve, che la aiutavano a destreggiarsi fra destra e sinistra. Ha seguito tutto, dalla centratura iniziale fino allo shavasana, dal quale non si è più rialzata, caduta in un sonno profondo. Intanto Lua giocava di fianco a me parlando alle lampade e alla campana tibetana, con una voce bassa che non disturbava.

Questa mattina, svegliatesi prima del solito, quando io stavo per accingermi a meditare, ho proposto loro o di meditare insieme o di disegnare mentre io stavo in silenzio ad ascoltare il respiro. Hanno deciso di meditare e siamo state ben 11 minuti in silenzio, poi Lua ha detto con calma “adesso basta” e siamo andate a fare colazione.

Ricordo quando, ancora incinta di Vera, qualcuno mi diceva “ma ora come farai a insegnare in casa, è impossibile con dei bambini piccoli”.

I bambini saranno piccoli di statura, ma hanno un’apertura che noi ci sogniamo e l’abitudine è una grande maestra. Abituiamo i bambini al silenzio, e loro lo ricercheranno. Abituiamoli ai momenti di pausa, senza proporgli una attività dopo l’altra, e loro impareranno ad apprezzare i momenti morti e coltivare la pazienza. Trattiamoli come esseri umani speciali ricchi di risorse, senza pregiudizi, e loro fioriranno.

ps: chi vede Vera nella foto?! 🙂

Perché c’è tanta incomprensione nel mondo?

In questo periodo di grande crisi, dove esprimere la propria opinione diventa rischioso, in certi paesi maggiormente ma per vari aspetti anche nel nostro, credo che la risposta che dà Osho a questa domanda sia un aiuto per ricordarci dove guardare quando tutto sembra instabile. 
Eccovi quindi la sua risposta, secca, chiara e resistente al tempo che passa. 
 
“Perché gli uomini sono inconsapevoli. Perché gli uomini sono profondamente addormentati. Perché gli uomini sono dei robot. La comunicazione è impossibile: tu dici una cosa, e ne viene capita un’altra. Non c’è modo di comunicare. Si può comunicare solo in amore, attraverso il silenzio. Ma nessuno sa come essere in amore, e nessuno sa come essere in silenzio.
Solo nell’amore e nel silenzio la comunicazione è possibile. Ma noi non amiamo e non siamo in silenzio. Siamo talmente colmi di conoscenza… ecco perché la comunicazione è impossibile. Il linguaggio è una delle ragioni per cui c’è tanta incomprensione nel mondo. Tra gli animali, gli alberi, gli uccelli non c’è incomprensione, perché il linguaggio non esiste. Sono fortunati, non sanno nulla del linguaggio, quindi comunicano in amore, in silenzio. E questa ottusità è una benedizione per loro. L’uomo è l’unico animale che sa parlare. E proprio questo fenomeno è un problema”.
da“Il canto della meditazione”, pag. 110, ed. Oscar Mondadori 

Da “Educare alla vita”, di Jiddu Kishnamurti

Quando si viaggia, ci si accorge di come la natura umana sia ovunque la stessa, in India e in America, in Europa o in Australia. Questo vale soprattutto per le scuole secondarie e l’università. Stiamo creando, quasi usassimo uno stampo, un tipo di individuo il cui interesse supremo è quello di trovare la sicurezza, di diventare importante o di divertirsi pensando il meno possibile.

L’educazione tradizionale rende estremamente difficile il pensiero indipendente e il conformismo porta alla mediocrità. Essere diversi dal gruppo o resistere all’ambiente non è facile, e può essere rischioso se amiamo il successo più di ogni altra cosa. Il bisogno di avere successo, che è poi il perseguimento della ricompensa nella sfera materiale o in quella cosiddetta spirituale, la ricerca di sicurezza interiore o esteriore, il desiderio di conforto: tutto questo frena lo scontento, pone fine alla spontaneità e genera paura; e la paura blocca la comprensione intelligente della vita. Così, con il passare degli anni, l’apatia della mente e del cuore prendono il sopravvento. Cercando di ottenere conforto, di solito ci ritagliamo uno spazio protetto dove il conflitto sia ridotto al minimo, e poi abbiamo paura a uscire dal nostro isolamento.

Questa paura della vita, della lotta o di nuove esperienze uccide in noi lo spirito di avventura; l’educazione e l’istruzione ricevute ci hanno inculcato la paura di essere diversi dagli altri, il timore di pensare in contrasto con il modello socialmente stabilito, e ci hanno resi falsamente rispettosi di autorità e tradizione. Per fortuna esistono persone seriamente disposte a esaminare i problemi umani senza pregiudizi di destra o di sinistra; ma nella stragrande maggioranza di noi non c’è un vero spirito di scontento o di rivolta. Quando ci pieghiamo con rassegnazione all’ambiente circostante, qualsiasi spirito di ribellione possiamo avere avuto si spegne, e ben presto le nostre responsabilità vi pongono fine. Esistono due tipi di ribellione: c’è quella violenta, che è mera reazione, senza comprensione, contro l’ordine esistente; e c’è la profonda ribellione psicologica dell’intelligenza. Molti si ribellano alle ortodossie ufficiali solo per cadere in nuove ortodossie e illusioni, o in forme celate di autoindulgenza. Spesso accade che abbandoniamo un gruppo o un insieme di ideali ed entriamo in un nuovo gruppo, abbracciamo altri ideali, creando così un nuovo modello di pensiero a cui ancora una volta dovremo ribellarci.

La reazione genera solo opposizione, e una riforma ha sempre bisogno di riforme successive. Esiste però una ribellione intelligente che non è reazione, ma che viene con la conoscenza di sé attraverso la consapevolezza dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti. Solo affrontando l’esperienza così come si presenta, senza evitarne gli aspetti negativi, possiamo mantenere l’intelligenza veramente sveglia; e l’intelligenza attiva al suo grado più alto è l’intuizione, che è l’unica vera guida nella vita.

Ora, qual è il significato della vita? Per che cosa viviamo e lottiamo? Se riceviamo un’istruzione solo per distinguerci, per avere un lavoro migliore, per essere più efficienti, per meglio dominare gli altri, allora le nostre vite saranno futili e vuote. Se riceviamo un’istruzione solo per diventare scienziati, o studiosi dediti esclusivamente ai libri, o specialisti drogati dal sapere, allora stiamo contribuendo alla distruzione e alla miseria del mondo. Anche se nella vita c’è un significato più ampio e più elevato, che valore ha l’educazione se non ci aiuta a scoprirlo?

Possiamo essere molto istruiti, ma senza un’integrazione profonda tra pensiero e sentimento le nostre vite sono incomplete, contraddittorie e lacerate da mille paure; e finché l’educazione non coltiva una visione integra della vita, il suo significato è ben poca cosa. Nella civiltà odierna abbiamo diviso la vita in così tanti scomparti che l’istruzione ha pochissimo peso, se non per imparare una particolare tecnica o una professione. Invece di risvegliare l’intelligenza integra dell’individuo, essa lo incoraggia a conformarsi a un modello, ostacolando così la sua comprensione di sé come processo totale. Cercare di risolvere i tanti problemi dell’esistenza ai loro diversi livelli, separati come sono in varie categorie, denota una totale mancanza di comprensione. L’individuo è formato da elementi diversi, ma enfatizzare le differenze e incoraggiare lo sviluppo di un aspetto specifico produce complicazioni e contraddizioni.

L’educazione dovrebbe determinare l’integrazione di questi elementi separati, perché senza integrazione la vita si trasforma in una serie di conflitti e di dolori. Che valore ha studiare da avvocati se perpetuiamo le controversie? Che valore ha il sapere se rimaniamo nella nostra confusione? Che significato hanno le abilità tecniche o industriali se le usiamo per distruggerci a vicenda? Che senso ha la nostra esistenza se ci porta alla violenza e alla desolazione totale? Anche se abbiamo denaro o siamo in grado di guadagnarne, anche se abbiamo i nostri piaceri e le nostre religioni organizzate, siamo in perenne conflitto. Dobbiamo distinguere tra ciò che è personale e l’individuo in sé. Il personale è accidentale, e con questo intendo riferirmi alle circostanze della nascita e all’ambiente in cui per caso siamo cresciuti, con il suo nazionalismo, le sue superstizioni, le distinzioni di classe e i pregiudizi. Il personale o accidentale è solo momentaneo, anche se il momento può durare tutta la vita; e poiché l’attuale sistema educativo si basa sul personale, sull’accidentale, sul momentaneo, esso porta a una perversione del pensiero e inculca paure autodifensive. Siamo stati tutti abituati dall’educazione e dall’ambiente a cercare la sicurezza e il vantaggio personale, e a lottare per noi stessi. Anche se lo dissimuliamo con espressioni gradevoli, siamo stati formati per le varie professioni all’interno di un sistema basato sullo sfruttamento e sull’avidità dettata dalla paura.

Questo tipo di preparazione deve per forza portare confusione e miseria a noi e al mondo, perché crea negli individui quelle barriere psicologiche che lo separano e lo tengono lontano dagli altri. L’istruzione non riguarda solo l’addestramento della mente: l’esercizio favorisce l’efficienza, ma non determina la completezza. Una mente che è stata soltanto addestrata è la continuazione del passato, e una mente così non può mai scoprire il nuovo. Ecco perché, per individuare il giusto tipo di educazione, dobbiamo indagare l’intero significato della vita. Per la maggior parte di noi, il senso della vita nella sua totalità non è di primaria importanza, e l’educazione che riceviamo mette l’accento su valori secondari, limitandosi a renderci competenti in qualche campo del sapere. Le conoscenze e l’efficienza sono necessarie, ma dare loro un’importanza eccessiva genera solo conflitto e confusione. Vi è un tipo di efficienza ispirata dall’amore che supera di molto ed è ben più nobile dell’efficienza dell’ambizione; e senza l’amore, che permette una comprensione integra della vita, l’efficienza genera crudeltà. Non è forse questo che accade ora nel mondo?

La nostra educazione attuale è funzionale all’industrializzazione e alla guerra, visto che il suo scopo principale è sviluppare l’efficienza; e noi siamo prigionieri di questa macchina di competizione spietata e di distruzione reciproca. Se l’educazione porta alla guerra, se ci insegna a distruggere o a essere distrutti, non ha forse fallito in pieno? Per proporre il giusto tipo di educazione, dobbiamo ovviamente comprendere il significato della vita nella sua totalità, e per farlo dobbiamo essere in grado di pensare, non in modo rigido, ma in modo diretto e vero. Un pensatore rigido è una persona irriflessiva, perché si conforma a un modello; ripete frasi fatte e non esce dagli schemi. Non si può comprendere la vita in astratto o teoricamente; comprendere la vita significa comprendere noi stessi, ed è questo il principio e il fine dell’educazione.

L’educazione non consiste solo nell’acquisizione di conoscenze, nel raccogliere dati e metterli in correlazione; essa consiste nel capire il significato della vita nella sua totalità. Ma la totalità non può essere avvicinata attraverso la parte, che è poi quello che tentano di fare i governi, le religioni organizzate e i partiti autoritari. La funzione dell’educazione è creare esseri umani integri, e perciò intelligenti. Possiamo prendere la laurea ed essere meccanicamente efficienti senza essere intelligenti: l’intelligenza non è solo conoscenza; non viene dai libri, e nemmeno consiste di abili risposte autodifensive e di affermazioni aggressive. Una persona che non ha studiato può essere più intelligente di una istruita. Abbiamo fatto di esami e diplomi il criterio per misurare l’intelligenza, e abbiamo sviluppato menti brillanti che evitano però le questioni fondamentali dell’uomo. L’intelligenza è la capacità di percepire l’essenziale, il ciò che è; e risvegliare questa capacità, in noi e negli altri, è vera educazione.

L’educazione dovrebbe aiutarci a scoprire valori duraturi, così da non lasciarci aggrappare a formule o alla ripetizione di slogan; dovrebbe aiutarci ad abbattere le barriere sociali o nazionali, invece di accentuarle, poiché generano antagonismo tra gli uomini. Purtroppo l’attuale sistema educativo ci rende sottomessi, meccanici e profondamente ottusi; anche se ci stimola intellettualmente, dentro ci lascia incompleti, vuoti e privi di creatività. Senza una comprensione integra della vita, i nostri problemi individuali e collettivi diventeranno solo più profondi e più ampi.

Il fine dell’educazione non è creare semplici eruditi, tecnici e carrieristi, ma uomini e donne integri e liberi dalla paura; poiché solo tra individui di questo genere può esistere una pace durevole. Solo con la comprensione di noi stessi possiamo mettere fine alla paura. Se un individuo deve cimentarsi con la vita momento per momento, se deve affrontarne le complessità, le miserie e gli imprevisti, deve essere assolutamente flessibile e dunque libero da teorie e schemi di pensiero specifici. L’educazione non dovrebbe incoraggiare l’individuo ad adeguarsi o a conformarsi sterilmente alla società, dovrebbe aiutarlo a scoprire i valori veri che derivano da un’indagine obiettiva e dalla consapevolezza di sé. Se non vi è conoscenza di sé, l’espressione individuale diviene autoaffermazione, con il suo fardello di conflitti aggressivi e ambiziosi.

L’educazione dovrebbe risvegliare la capacità di essere autoconsapevoli e non limitarsi ad assecondare una gratificante espressione di sé. Cosa c’è di buono nell’apprendere se nel corso della vita non facciamo che distruggerci? Considerata la sequela di guerre devastanti che scoppiano ovunque, una dopo l’altra, deve per forza esserci qualcosa di radicalmente sbagliato nel modo in cui cresciamo i nostri figli. Penso che la maggior parte di noi sia consapevole di questo, ma non sappiamo come affrontarlo. I sistemi, sia educativi che politici, non subiscono trasformazioni misteriose; mutano quando in noi si produce un cambiamento radicale. L’individuo, e non il sistema, è la cosa più importante; e finché l’individuo non comprende interamente il suo processo interiore nessun sistema, di destra o di sinistra, potrà portare nel mondo ordine e pace.

L’errore, un input inatteso

Questa estate come regalo di compleanno al mio compagno ho deciso di regalargli/ci un incontro con un pittore, visto che con le nostre figlie ci divertiamo tantissimo a disegnare e, proprio grazie a loro, abbiamo riscoperto questo bellissimo mondo.

Per puro caso (sapendo che il caso non esiste, ovviamente), un giorno abbiamo trovato il nostro insegnante, Claudio Jaccarino, pittore, scrittore ma anche un po’ filosofo. L’esperienza è stata molto bella e come sempre accade in questi casi, una volta di più ho avuto la conferma che tutto è unione, tutto deriva da un unicum e se sei onesto con te stesso tutte le strade portano alla stessa meta. 

Ci sono stati due momenti che mi hanno molto colpita. Il primo è stato quando Claudio, parlando degli acquarelli, ha detto che questi lo hanno molto rilassato, cambiandogli proprio il temperamento. Infatti l’acquarello ti dimostra palesemente che tutto cambia e che questo è inevitabile. L’acqua infatti, anche quando tu credi di aver terminato il disegno, continua a mutare la struttura, il colore, il senso stesso del disegno. Se segui quest’onda, se accogli il cambiamento, imparerai a lasciarti andare e ad accogliere ciò che arriva, istante per istante.

Un altro momento che mi ha colpita è stato quando Claudio ha raccontato un aneddoto su Herbie Hancock. Credo che sia una riflessione molto bella quanto semplice e soprattutto, adattabile a ogni situazione e stile di vita e per questo la  riporto qui sotto: 

“Herbie Hancock, pianista e compositore di fama mondiale ed anche buddhista, una volta ha raccontato: «Anche nel jazz non ci sono note giuste e note sbagliate». Fu Miles Davis, che nel 1963 lo chiamò a far parte della sua leggendaria band, a insegnargli «come trasformare il veleno in medicina» durante un concerto del loro quintetto a Stoccolma, nel 1967. «Era una di quelle rare serate di perfezione musicale e di totale sintonia con il pubblico», racconta, spiegando che, «dopo uno straordinario assolo di Miles, in una pausa chiave, inciampai su una corda, stonando clamorosamente». Hancock si rese subito conto dell’errore. «Mi sembrava di aver frantumato una magnifica scultura di cristallo». Ma il vero shock arrivò subito dopo, quando si accorse che Davis aveva risposto al suo errore con un’improvvisazione musicale che lo incorporava nel fraseggio, rendendolo plausibile. «Invece di giudicare la mia stonatura come brutta e sbagliata, Miles la accolse come uno input inatteso, trasformandola in qualcosa di bello e virtuoso». Fu una grande lezione d’arte e di vita. «Come il buddhismo, anche il jazz è collaborazione, dialogo, tolleranza, altruismo e libertà»”. 

Con l’augurio per tutti di noi di accogliere i mutamenti e saper sorridere e trarre lezione dai proprio errori, inizio questo settembre, che per me è sempre il primo vero mese del nuovo anno. 

La paura vista da Yogananda

La paura è un veleno mentale, a meno che non venga usata come antidoto, ovvero come stimolo per agire con calma e cautela. La paura attira a sé gli oggetti della paura, come fa una calamita con i pezzi di ferro.

La paura intensifica e ingigantisce la nostra sofferenza fisica e le agonie mentali, fino a centuplicarle. È distruttiva per il cuore, il sistema nervoso e il cervello. È distruttiva per l’iniziativa mentale, il coraggio, la capacità di giudizio, il buon senso e la forza di volontà. La paura oscura la sicurezza e il potere dell’anima che tutto conquistano.

Dinanzi alla minaccia del male, non soffocare i tuoi poteri mentali creativi con la paura. Sfrutta piuttosto la paura come stimolo per trovare soluzioni pratiche e per evitare il pericolo.

Quando qualcosa ti minaccia, non rimanere inerte: fa’ qualcosa, chiamando a raccolta con calma le forze della tua volontà e del tuo giudizio.

La paura del fallimento o della malattia viene alimentata di continuo dal pensiero delle cose terribili che potrebbero accadere, finché la paura non si radica nel subconscio e infine nel superconscio. I semi della paura germogliano e riempiono la mente con le piante della paura che, a loro volta, portano i velenosi frutti della paura.

Se non sei capace di rimuovere l’ossessione del fallimento o della malattia, distrai la mente concentrando l’attenzione su libri interessanti e avvincenti, o persino su innocue forme di divertimento. Dopo che la mente avrà dimenticato l’ossessione della paura, incoraggiala a scoprire e a estirpare le cause del fallimento e della malattia dal terreno della tua vita quotidiana.

Non temere le malattie o gli incidenti, se ne sei stato vittima. Piuttosto, devi temere la paura, perché essa crea la consapevolezza delle malattie e degli incidenti. Se questa consapevolezza diventerà abbastanza forte, finirai per attirare proprio le cose che più temi. D’altro canto, il coraggio le terrà inevitabilmente lontane, o come minimo ne ridurrà la forza.

Uccidi la paura, rifiutandoti di aver paura. Sappi che sarai sempre al sicuro dietro i baluardi dell’eterna sicurezza di Dio, anche se navigherai nei tumultuosi mari della sofferenza o troverai la morte che bussa alla tua porta. I raggi protettivi di Dio possono dissipare le minacciose nubi delle catastrofi, acquietare le onde delle tribolazioni e mantenerti al sicuro, sia che tu ti trovi in un castello o sul campo di battaglia della vita, sotto il fuoco incrociato dei proiettili delle difficoltà.

Quando arriva la paura, tendi tutto il corpo e poi rilassati, espirando diverse volte. Accendi la corrente elettrica della calma e della rilassatezza. Aziona il tuo motore mentale e alimentalo attivamente con la vibrazione della volontà. Poi, imbriglia la forza di volontà agli ingranaggi del buon giudizio e di una cautela scevra d’ogni paura: fa’ girare di continuo questi meccanismi per produrre idee concrete, in modo da poter sfuggire all’imminente calamità specifica.

Se indulgi mentalmente nella paura, finirai per creare un’abitudine subconscia alla paura stessa. Allora, quando un evento qualsiasi sconvolgerà la tua regolare routine, l’abitudine subconscia alla paura si affermerà e ingigantirà l’oggetto dei tuoi timori, paralizzando la volontà della mente cosciente di combattere la paura.

Poiché sei stato fatto a immagine di Dio, hai tutti i poteri e le potenzialità di Dio. È sbagliato pensare che le tue tribolazioni siano più grandi della tua natura divina. Ricorda: non ha importanza quali siano le tue prove, non sarai mai troppo debole da non riuscire a sconfiggerle. Dio non permetterà mai che tu venga messo alla prova oltre le tue forze.

La paura non dovrebbe produrre l’inerzia, la paralisi o lo scoraggiamento mentale. Al contrario, dovrebbe spronarti alla calma e ad agire con cautela, evitando allo stesso modo l’imprudenza e l’insicurezza.

Sradica la paura dal tuo intimo, concentrandoti intensamente sul coraggio e spostando l’attenzione sull’assoluta pace interiore. Frequenta persone sane e prospere, che non temono la malattia né il fallimento.

20 Giugno, Giornata internazionale dello yoga

Non sono una fan delle “giornate dedicate a” e oggi, giornata dedicata allo yoga, non ho fatto niente di ché per festeggiarla o onorarla.

Come non faccio nulla per la giornata internazionale del rifugiato, che ho scoperto essere proprio il giorno prima di quella dello yoga, il 20 giugno. Non sono contraria di per sé a queste giornate, a queste dediche. Purtroppo però, come la troppa informazione rischia di togliere empatia e compassione, temo che anche queste giornate, essendo troppe e troppo vicine le une alle altre, rischino di passare velocemente nel dimenticatoio, proprio per la frenesia che si ha nel ricordarle, scriverne, fotografarle e poi metterle nel cassetto.
Però ripensandoci, oggi a mio modo ho ringraziato lo yoga.
Stamattina, come quasi sempre, alle 5.50 mi sono svegliata e sono andata a sedermi per il pranayama. Vera, la mia grande, si è svegliata come spesso capita con me e si è messa vicina, sdraiata su una coperta di yoga, in quella che lei chiama la cuccia. Oramai sa che la mamma fa pranayama e medita, quindi se mi parla e non le rispondo perché sono in ritenzione o sto meditando, non si lamenta, sa che quando potrò le risponderò.
Sta in silenzio, un po’ si lascia coccolare dalla mia mano che intanto la carezza, a volte si annoia visibilmente, altre sta con gli occhi aperti e chissà cosa pensa. Magari a volte sta in silenzio e basta, chi lo sa.
Ecco, questa per me è la dedica allo yoga. Un augurio per le generazioni future, per un maggiore ascolto, un maggior silenzio. E la foto per la giornata ha sempre come modella Vera, in adho mukha svanasana quando aveva due anni. Che, diciamocelo, le viene proprio bene 🙂

La parola a Yogananda

Esci dalla confinata dimora delle tue limitazioni. Inspira l’aria fresca dei pensieri vitali. Espira i pensieri velenosi dello sconforto, dell’infelicità o della disperazione. Non suggerire mai alla tua mente le limitazioni umane di malattia, vecchiaia o morte, ma ripeti a te stesso: “Io sono l’Infinito, che si è fatto corpo”.

Fai lunghe passeggiate mentali sul sentiero della sicurezza di sé. Esercitati con gli strumenti del giudizio, dell’introspezione e della creatività. Banchetta in abbondanza con il pensiero creativo, tuo e degli altri.

Soprattutto, coltiva l’abitudine alla meditazione: è l’interruttore interiore che puoi accendere per collegarti all’infinito. Concentra l’attenzione sugli effetti della meditazione mantenendoli a lungo. Così facendo, scoprirai di avere una riserva energetica nel corpo, nella mente e nell’anima. Se terrai sempre bene in mente gli effetti pacifici della meditazione, se sentirai l’immortalità del corpo e percepirai l’oceano della beatitudine divina al di sotto delle onde mutevoli delle esperienze, la tua anima troverà il rinnovamento perpetuo.

Tu sei divino, devi solo averne consapevolezza. Devi guardare dentro di te. Dietro l’onda della tua consapevolezza c’è il mare della presenza di Dio. Rivendica il tuo diritto di nascita divino. Dèstati, e contemplerai la gloria di Dio.