Un po’ di noia, per favore!

Più o meno un anno fa la mia insegnante di alimentazione energetica ha detto una frase che era destinata a diventare una mia citazione.

Parlavamo dello yin, del lato inconscio, materico, associandolo alla sera, al momento in cui i processi di rigenerazione del corpo cominciano. Lo yin chiama il raccoglimento, il riposo, il silenzio e Karin, così si chiama la mia insegnante, facendo l’associazione a come si vive la notte ai giorni nostri, disse una frase stupenda: “Ci si dovrebbe annoiare un po’ di più”. 

In effetti sembra che questa società in cui viviamo faccia di tutto per eradicare la noia: abbiamo stimoli continui, a richiesta e anche senza richiesta. Le luci della città ci confondono, i rumori per chi sta in una grande città impediscono il silenzio e addirittura oramai abbiamo migliaia di possibilità di evasione, sia fisici che virtuali. Per fortuna non è il nostro caso, avendo delle bimbe piccole siamo noi, molto felicemente, a seguire il loro ritmo ben più sano. Però sento molto profondamente questa disconnessione da noi stessi, di cui siamo tutti, chi più chi meno, vittime.

Qualche mese fa sono riuscita a vedere il nuovo film di Zerocalcare, Strappare lungo i bordi e ho sorriso davanti a una scena che credo ricalchi molto bene questa situazione: lui stravaccato sul divano, felicissimo perché può passare una piacevole serata a guardare un film. Accende il pc e cerca su netflix ma non sa cosa scegliere: molti film li ha già visti e molti ancora vorrebbe vederli. Alla fine si fa molto tardi e lui non ha ancora scelto nulla ed è stanchissimo e depresso. 

Siamo tutti più o meno succubi di questo disagio: troppe scelte, troppa informazione, troppo rumore, troppi stimoli, troppe luci. Gli occhi si stancano, il cervello non riposa, il sistema digestivo rallenta. Insomma, il nostro lato yin non viene coccolato e ascoltato e così tutti i suoi processi vengono rallentati. E quando parliamo di yin parliamo di ossa, di rigenerazione, di tutti i processi metabolici ma anche di quiete mentale. Viviamo in una società che sembra prendere in considerazione solo il lato yang, dinamico, veloce, scattante della vita. Tutto il resto è noia. 

Eppure, un po’ di sana noia ci serve. Per questo sono molto grata alla mia insegnante, perché in maniera molto semplice e diretta ha descritto quello che ci manca con una parola che mette paura a tutti. Osservando le persone in giro è incredibile vedere quanto spesso il telefonino venga tirato fuori giusto per scacciare quel breve minuto di attesa alla cassa del supermercato o sul tram o in una sala d’attesa. Non siamo più abituati a stare con noi stessi e meno lo facciamo più ci disabituiamo. 

Dobbiamo essere quindi noi più forti, più saggi, per saper prendere la giusta distanza e poter quindi godere solo del lato bello, che innegabilmente c’è, del progresso. 
Prendiamoci dei momenti di noia, restando in coda semplicemente osservando, ascoltando il contatto dei piedi con la terra, prendendoci del tempo per stare in silenzio. Impariamo a stare qui, ora. Mi sto annoiando? Ne sono poi così sicuro? Non potrebbe essere invece questo perenne movimento a sovraeccitarmi così tanto da rendermi stanco e insoddisfatto?

Buona sana noia a tutti!

 

Da lettere dal bosco, lo scoiattolo e i pensieri

Lettere dal bosco, edizione originale in olandese

Ho già scritto su Lettere dal bosco di Toon Tellegen, ma chi mi conosce sa che quando qualcosa mi prende proprio a cuore divento ripetitiva. E questo libro è veramente un inno alla sensibilità, all’educazione nel suo senso più profondo e bello del “tirar fuori ciò che sta dentro”. Una delle sue bellezze è anche il fatto che le storie non abbiano titoli e non ci sia nessun tipo di indice, quindi quando trovi una storia che ti piace particolarmente è un lavoro di memoria ricordarsi a che pagina è e se non la ritrovi, va bene così, c’est la vie. Un giorno magari, in un altro momento, la ritroverai e sarà tutto cambiato. 

Ieri leggevamo a Vera e per caso abbiamo scoperto questa storia che ho riscritto integra qui sotto. Non voglio lasciare alcun commento perché sarebbe riduttivo e la bellezza va assaporata così com’è, ognuno poi ne estrae ciò che è giusto per sé. Buona lettura!

Lo scoiattolo si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Aveva sognato? Non si ricordava alcun sogno, ma era spaventato. Tremava, ma non aveva freddo, e avvertiva delle gocce di sudore gelato sulla fronte e sul collo.

Cercò di rimanere il più immobile possibile e di ascoltare i rumori che venivano da fuori. Forse qualcuno aveva bussato, o forse qualcuno aveva lanciato un grido di lontano. Ma non sentiva nulla. Si sdraiò di nuovo, ma non riuscì più a dormire. Gli vennero in mente mille pensieri. Come si deve fare questo, e perché quest’altro, e cosa accadrà dopo? Erano domande alle quali non sapeva dare risposta, soprattutto l’ultima, che continuava a passargli per la testa: cosa accadrà dopo?

Non riusciva a immaginare cosa mai potesse somigliare a una risposta a quella domanda. Cos’è il dopo?, pensava. Ne aveva parlato una volta alla formica, ma lei aveva alzato le spalle e aveva detto di non aver mai sentito parlare del dopo e che perciò non doveva essere niente. Ma allo scoiattolo questo non bastava. La gazza gli aveva detto una volta che dopo era il contrario di prima, ma allora che cos’era il prima?

Era una notte buia. Lo scoiattolo aprì la finestra per annusare l’aria oscura e magari vedere qua e là una stella fra le nuvole.

Io esisto solo adesso, pensò, davanti alla finestra, nella notte sotto il cielo. Forse la formica ha ragione, pensò ancora, e il dopo non è niente. Ma cos’è il contrario di niente: qualcosa o niente? Il prima esisteva o no? E poi perché lui non riusciva a dormire, mentre a quanto pareva tutti gli altri sì?

Tirò un profondo sospiro e con l’aria soffiò via anche una foglia del faggio. Udì il fruscio che si perdeva in lontananza. 

Io esisto solo adesso, pensò di nuovo. Nono sono mai esistito dopo e non esisterò mai prima. E mentre non riusciva più a seguire i suoi pensieri, che erano sempre più saggi di lui, si sentì rasserenato. Tornò a letto, si infilò sotto le coperte, disse : “Adesso o mai più”, e nello stesso istante si addormentò. 

A tutti i guerrieri

Sotto il natale spesso, condizionati dalle abitudini culturali, si parla più spesso di bontà. Se abbiamo dei figli poi è molto facile incitarli a “fare i bravi, essere buoni”.

Spesso però essere buoni viene frainteso con un banale essere educati, giusti rispetto alla società, alle abitudini prestabilite. Così magari si salva la faccia davanti agli altri, si mantengono le buone etichette, ma si rischia di perdere la parte più autentica di noi stessi e di rimanere insoddisfatti.
Essere buoni veramente è un lavoro molto più impegnativo, richiede di andare in profondità in noi stessi, abbandonare le comfort zone, superare le paure per potersi aprire veramente a se stessi in primis e poi e agli altri.

Sono proprio i “difetti” i nostri alleati più preziosi: sono la nostra base, ciò da cui partiamo qui, ora e che può trasformarsi ed evolversi fino a diventare il nostro viaggio più bello. Ogni singolo viaggio è unico e speciale, non dobbiamo paragonarlo a quello degli altri, né averne un’immagine prestabilita. Il rischio sarebbe di compiere il viaggio di qualcun altro.
Bisogna avere tanta compassione e amore per noi stessi, curare le nostre ferite, complimentarci per gli sforzi fatti, sia che si tratti di aver salvato la vita a qualcuno sia che si tratti di essere riusciti a parlare con quella persona che ci mette a disagio o ancora, di essere riusciti a cambiare lavoro. Non siamo qui per giudicarci o giudicare. Ognuno ha il suo karma, la sua lezione da imparare e se la portiamo avanti, va bene così.

Oggi lascio la parola a queste bellissime righe che riassumono, nella loro semplicità, una grande lezione. È il mio augurio per tutti noi per l’anno che verrà, per diventare buoni e migliori in maniera sana.


Trasforma la rabbia nel fegato in gentilezza

Rompi il ghiaccio congelato della paura nei reni e trasformalo in saggezza e comprensione
Lascia andare la tristezza e le lacrime nei polmoni e trasformale nel coraggio di amare
Rilascia l’attaccamento e la preoccupazione nella milza e assumi la responsabilità di questa connessione karmica
Guarisci la separazione e l’odio nel cuore e trasformalo in amore e connessione.

Buon riposo a tutti i guerrieri della luce!

Il dubbio, inizio della conoscenza

Viviamo in un’era molto rumorosa. Ognuno ha la sua personale opinione su tutto e la tecnologia non ci aiuta. È oramai risaputo che gli algoritmi che aiutano la navigazione su internet si allineano ai nostri gusti, cosa che porta a due effetti molto negativi: da una parte ciò è infatti limitante, perché a ben pensarci le cose importanti e creative che ci capitano nella vita sono proprio legate all’andare fuori dai binari, a quegli imprevisti che possono solleticare il nostro intelletto e la nostra creatività; inoltre, questo meccanismo autoreferenziale amplifica le nostre preferenze e ci fa cadere nelle cosiddette echo chambers, le camere dell’eco, che non fanno altro che aumentare la tendenza verso una rigidità mentale.

Non prendere una posizione è oggigiorno sempre meno cool. Le voci grosse d’altronde catturano di più, se poi sono semplicistiche ancora meglio, perché in un mare dilagante di informazioni e asserzioni abbiamo sempre meno voglia, tempo,  pazienza e capacità per cercare fra la massa quel pensiero critico chiaro, ben spiegato e che si avvicina di più al nostro sentire.

Non è facile dubitare ai giorni d’oggi, richiede molta umiltà e soprattutto silenzio, sospensione del giudizio. Richiede di fare spazio invece che riempirsi di tutto ciò che ci arriva addosso. Siamo arrivati al punto che è sempre più facile giudicare, prendere posizione, prendere parte a qualche gruppo. Anche perché questo ci aiuta a sentirci meno soli e questa società, che ci vuole sempre più isolati e dispersi, porta anche a questa triste condizione: siamo sempre più soli ma abbiamo potenzialmente tutto il mondo in tasca, pronto eventualmente ad ascoltarci.

Ecco che ancora una volta il vuoto, il silenzio, lo spazio e la sospensione del giudizio ci possono venire in aiuto. Mai come prima forse ne abbiamo così tanto bisogno. D’altronde, perché proprio in questo periodo la mindfulness, lo yoga e tante altre pratiche meditative vanno così di moda? Più lo smartphone si fa smart, più le voci intorno a noi si fanno grosse, più noi abbiamo il dovere di rimanere saldi, sviluppare un pensiero critico a 360° ed essere consapevoli di ciò che rischiamo se invece ci lasciamo trascinare dalla corrente.

Nessuno è esente da pregiudizi e  convinzioni e certamente questi ci servono, non potremmo dubitare di tutto: abbiamo bisogno di sicurezze e le nostre esperienze pregresse sono essenziali per aiutarci a prendere decisioni. Dobbiamo però evitare che queste certezze diventino granitiche e rimanere aperti alla possibilità di cambiare idea, di aprirci a qualcosa di nuovo che ancora non conosciamo. Ecco perché diventa sempre più essenziale centrarci, respirare, rilassarci, lasciare fluire senza aggrapparci a nulla, cercando l’osservazione senza lo sforzo. Più il rumore fuori si fa assordante, più il silenzio dentro diventa una necessità. 

Curiosità: L’etimologia di dubitare è da ricondursi alla radice sanscrita dva o dvi = due, da cui anche il greco δοιάζειν (doiazein) = dubitare e poi il latino dubium. Quindi la parola dubbio è collegata alla parola due e infatti esprime incertezza di giudizio su due diverse e/o  contrarie interpretazioni di un fatto o, in generale, della realtà. Questa incertezza per me è proprio la chiave di svolta, non la nostra disfatta ma la nostra risorsa: andiamo oltre al due, al tre, al mille, ai vortici del pensiero. Torniamo al prima, al silenzio, al vuoto, all’origine. 

Buona sospensione del giudizio a tutti! 

Facciamo spazio

Una volta, quando insegnavo a Shanghai, una ragazzina mi si avvicinò alla fine della classe e mi disse, tutta intimidita, che sapeva che lo scopo dello yoga era la verticale sulle mani ma che lei proprio non ce la faceva, aveva paura. Mi fece una enorme tenerezza e le sorrisi dicendole che poteva stare serena, che lo scopo sicuramente non era quello. Tutto intorno nella classe una ventina di ragazzine si impegnava in una esibizione delle proprie prodezze acrobatiche.
Insegnare in quella città mi metteva spesso a disagio perché c’era una competizione incredibile, durante la classe la maggior parte dei partecipanti era serissima e col viso contratto in un eterno sforzo. Poi c’erano loro, i più timidi, impacciati, che si sentivano a disagio pure più di me.
Shanghai ha rappresentato per me l’espressione massima di una certa deriva che lo yoga sta conoscendo in questi anni. Tornata a vivere in Italia dopo un po’ di tempo all’estero, ho scoperto che questo aspetto acrobatico era forte anche qui.
La società ci impone di essere sempre veloci, scattanti, belli e pieni di risorse e lo yoga a volte sembra rispecchiare questa visione: persone agili e forti in abiti attraenti, sempre in forma, perfetti, sorridenti e, diciamocelo, un bel po’ uguali gli uni agli altri.
Sicuramente un certo grado di consapevolezza ci aiuta ad approcciarci con nuova leggerezza su molti aspetti della vita, permettendoci di lasciare andare alcuni fardelli, oramai divenuti pesanti, che fino a poco tempo prima trattenevamo con sforzo ed ego.
Ed è allora una liberazione. Liberazione dallo stereotipo, dalle aspettative, in primis nostre, su noi stessi.
Ma allora qual’è lo scopo dello yoga? Io penso che lo scopo lo costruiamo ogni giorno dentro di noi se decidiamo di affidarci veramente a questa scienza o a qualsiasi altra pratica spirituale seria, fatta bene. Fare vuoto, silenzio, spazio è la strada. Poi per fortuna siamo tutti diversi, siamo qui per la liberazione, ma essa si attua in maniera diversa in ciascuno di noi. E qui sta il bello. Ma guardiamoci dentro, stiamo in noi, qui, ora. Facciamo spazio. E allora tutto potrà fluire.

Xin, l’ideogramma del cuore

Quando ho vissuto in Cina, nel 2013, ho avuto la fortuna di approcciarmi alla lingua e soprattutto agli ideogrammi di questo immenso paese, rimanendone decisamente affascinata. 

Non avrei mai pensato di reimbattermi nella lingua cinese e invece due anni fa ho iniziato il mio percorso, non ancora terminato, in alimentazione energetica secondo la medicina tradizionale cinese. 

Così mi sono ritrovata nuovamente davanti a vari ideogrammi che un tempo imparavo per sopravvivere quell’annetto a Shanghai e che ora riscopro attraverso lo studio del corpo e dei suoi meridiani. 

Penso oggi in particolare al carattere Xin 心, cuore e alla storia della sua pittografia. La saggezza cinese stilizza con pochi tratti l’organo che – come sappiamo dall’anatomia – presenta delle aperture in alto (quelle delle arterie e delle vene) e delle cavità vuote all’interno (atri e ventricoli): infatti è vuoto all’interno ed aperto in alto.

La goccia di destra, che è l’ultima che viene scritta a pennello, può rappresentare le emozioni, la componente istintiva e spontanea con cui ci relazioniamo con gli altri e con il mondo. La goccia a sinistra, che è il primo tratto con cui si scrive il carattere, può rappresentare la razionalità, la tecnica, il controllo verso se stessi e gli altri. Ma è la goccia centrale, quella che “cade” dall’alto e nel mezzo del Cuore, che è particolarmente interessante: può rappresentare lo 元神 Yuan Shen, quello che possiamo chiamare il nostro Spirito Originario.

Descrivere lo shen non è cosa facile ma possiamo dire che questo è un influsso “celeste” che scende ad informare la vita dell’uomo attraverso il cuore “aperto in alto” per poi ancorarsi al sangue. 

Non a caso in cinese le funzioni che in occidente generalmente sono attribuite alla mente (il pensiero razionale) e al cuore (il sentire emozionale), nella tradizione cinese sono invece riunite tutte in quest’ultimo, che quindi è organo sia del pensiero che dell’emozione: così “il cuore” dei cinesi non è mai in contrasto con la mente, semplicemente perché “la mente” e “il cuore” sono tutt’uno. Da qui la consapevolezza, il radicamento dello shen dentro di noi.

Muladhara e Ajna chakra, la Terra e il Cielo

Ultimamente ho scoperto questa variazione di Utkatasana, che unisce il potente radicamento della posizione classica a shambhavi mudra, collegando quindi il nostro primo chakra, muladhara, con il sesto, ajna. Mi piace così tanto che l’ho inserita nella sequenza attuale, per poterla condividerla con tutti.
Unire questi due centri energetici è molto importante, porta ad un equilibrio generale che sicuramente ci può aiutare a essere più consapevoli.
Per una persona come me poi, con tanti pianeti in fuoco e aria e con un solo pianeta in terra, le posizioni radicanti sono essenziali, direi quasi obbligatorie. Per questo scoprire quest’asana mi aiuta a non perdermi quando pratico shambhavi mudra.
Shambhavi mudra consiste nel guardare verso l’alto il più possibile senza muovere la testa per poi concentrare e focalizzare gli occhi sul centro fra le sopracciglia.È una tecnica potente per risvegliare ajna chakra, il nostro sesto centro energetico. SI può meditare mantenendo questo mudra. Io propongo di tenerlo almeno tre minuti ininterrottamente e poi eventualmente chiudere gli occhi e proseguire la meditazione così. Fisicamente rinforza i muscoli degli occhi, mentre sul piano psichico calma la mente.

Tat Tvam Asi – Tu sei quello

Tat Tvam Asi

Aham Brahmasmi

Ayam Atma Brahma

Il mantra sinteticamente significa “quello sei tu”, intendendo da un lato il Divino, il prossimo e la natura, dall’altro noi stessi. Siamo dunque un tutt’uno con Dio. Questo è uno dei più significativi insegnamenti derivanti dalla Chandogya Upanishad, importante testo della filosofia vedanta. Qui sono contenute tre grandi massime o aforismi, detti mahavâkya, ossia grandi detti, che sono tre espressioni sanscrite che esprimono il concetto dell’identità tra Spirito individuale, Atman, e Spirito universale, Brahman.

  • Tat tvam asi,  Quello sei tu, dove Tat sta per ‘immenso, l’impronunciabile, il divino; mentre Tvam Asi significa “questo sei tu”. Pronunciando queste parole affermiamo di riconoscere e rispettare il divino in qualunque forma, entità o sensazione esso ci compaia davanti.
  • Aham brahmasmi, “Io sono Brahman, il Divino“. Qui diventiamo consapevoli di essere noi stessi divini
  • Ayam atma brahman, “Questo Sè è il Brahman“, o anche “Dio e io siamo un tutt’uno“

alan-watts-427705In questo mantra si parla di dualità. Si tratta delle due leggi cosmiche che costituiscono la base per la creazione e la conservazione di ogni esistenza. Spesso ci rendono la vita difficile perché non sappiamo come affrontare la divisione, i contrasti, l’essere diversi. Ma durante la nostra evoluzione spirituale impareremo sempre più ad accettare la dualità perché è attraverso l’accettazione di questa che giungeremo all’unione, all’interezza.

Tat tvam asi!

I due anelli – S.N. Goenka

goenkaDi origine indiana, S.N. Goenka è nato e cresciuto in Birmania. In questo paese ebbe la fortuna di incontrare il maestro U Ba Khin e di imparare da lui la tecnica di meditazione “Vipassana”, che in lingua pali significa vedere in profondità. Dopo aver ricevuto l’insegnamento dal suo maestro per 14 anni, S.N. Goenka ritornò in India e lì, nel 1969, cominciò ad insegnare questa tecnica. In un paese ancora fortemente diviso da differenze di caste e religione, i suoi corsi attirarono persone di ogni strato sociale e anche molti stranieri provenienti da tutto il globo. S.N. Goenka è morto nel 2013 ma i corsi Vipassana sono oramai una realtà stabilita in tutto il mondo (in Italia il centro si trova in Toscana) e  un’ottima occasione per aiutarci in questo cammino. Io personalmente ho seguito due ritiri per il momento e entrambi sono stati esperienze intense ed importanti. Qui vi lascio con una storia che Goenka racconta per spiegare il concetto di anicca, ovvero impermanenza.

Un uomo ricco morì in età avanzata, lasciando due figli. Per qualche tempo essi continuarono a vivere secondo l’usanza indiana tradizionale, in un’unica famiglia allargata.anicca Poi litigarono, decisero di separarsi e dividere al cinquanta per cento le proprietà. A transazione avvenuta, trovarono un pacchettino che il padre aveva nascosto con cura. Lo aprirono e vi trovarono due anelli: uno aveva un diamante di notevole valore, l’altro era un semplice anello d’argento da poche rupie.
Vedendo il diamante, il fratello più anziano, preso dall’avidità, disse al giovane – “Mi sembra che quest’anello non sia di proprietà di nostro padre, ma piuttosto un bene ereditato dagli antenati, per questo l’ha tenuto separato dalla altre proprietà. Poiché è stato conservato in famiglia per generazioni, deve rimanere per le generazioni future ed essendo il primogenito, lo conserverò io. È meglio che tu prenda l’anello d’argento”. Il più giovane sorrise dicendo – “Va bene, sii felice con l’anello di diamanti, io sarò felice con l’anello d’argento”.
Entrambi indossarono al dito i rispettivi anelli ed andarono per la loro strada.
“E’ comprensibile che mio padre abbia custodito l’anello di diamanti, che è di grande valore, ma perché conservare un comune anello d’argento?” pensava il giovane. Esaminandolo attentamente si accorse che all’interno dell’anello vi era una scritta “Anche questo cambierà”. “Ecco il motto di mio padre!” pensò, rimettendo l’anello al dito.

Entrambi i fratelli dovetteimpermanencero affrontare gli alti e i bassi della vita. Quando arrivava la primavera, il fratello più anziano era felice e si esaltava. Quando arrivavano l’autunno o l’inverno, era colto da forte depressione. Divenne teso e sviluppò una forte ipertensione. Incapace di dormire cominciò ad assumere sonniferi, tranquillanti e ogni sorta di farmaci sempre più forti. Questo era il fratello con l’anello di diamanti.
Il fratello più giovane, quando arrivava la primavera ne godeva e, guardando il suo anello, si diceva: ” Anche questo cambierà”. Quando l’estate lasciava il posto all’autunno poteva sorridere e dire  – “Bene, sapevo che stava per cambiare. E’ cambiato, ecco tutto!”
Quando l’inverno diventava più rigido, di nuovo guardava il suo anello e diceva “Anche questo cambierà” Non si lamentava mai, sapendo che tutto sarebbe cambiato. E tutto davvero cambiava, passava, finiva. Negli alti e bassi della vita, durante tutte le vicissitudini egli sapeva che nulla è eterno, che ogni cosa viene solo per andarsene. Così non perse l’equilibrio mentale e visse una vita felice e in pace. Questo era il fratello con l’anello d’argento.