ब्रह्मचर्य प्रतिष्ठायां वीर्यलाभः ॥३८॥
brahma-charya pratishthayam virya-labhah ||38||
Quando si è fermamente stabiliti in Brahmacharya si ottiene vigore (Yoga Sutra)
Brahmacharya è il quarto e quindi penultimo fra gli yama, di cui ho già scritto una breve introduzione qui.
“Brahma” è il Dio della creazione, il termine con cui viene descritto significa letteralmente illimitata immensità, da considerarsi come unica e indivisibile; mentre “charya” può essere inteso come andare verso.
Nell’induismo, Brahmacharya si riferisce al primo dei quattro ashrama, gli stadi della vita descritti negli antichi testi. Il sistema degli ashrama divide la vita umana in quattro livelli, ad ognuno dei quali il sādhaka, il praticante, ottiene un certo sviluppo.
I primi 24 anni di vita sono segnati dal periodo del brahmacharya, dove il sādhaka apprende dal guru e impara il controllo dei sensi; fra i 25 e i 49 anni abbiamo l’epoca del grihastha, dove il praticante forma la sua famiglia e cresce i figli; fra i 50 e i 74 anni c’è il periodo del vanaprastha, quando si condivide la propria conoscenza con gli altri e ci si prepara ad allontanarsi dal mondo materiale; dai 75 anni in su infine è l’epoca del sannyāsa, spesso tradotto come “rinunciatario”. Questo è lo stadio finale della vita, in cui si rinuncia ai beni materiali e ci si dedica interamente al proprio cammino spirituale.
Brahmacharya quindi rappresenta il primo stadio della vita. Questo è un periodo di apprendimento e include la pratica del celibato. In questo senso il termine connota la castità, virtù che aiuta il giovane a indirizzare tutte le sue energie verso lo studio sotto la guida di un valido guru.
Molto spesso Brahmacharya viene quindi spiegato come astinenza sessuale tout court, ma descritto così riduciamo di moltissimo il suo senso più profondo.
Anche se l’astinenza sessuale è un aspetto maggioritario del brahmacharya, ne è comunque solamente una parte, sebbene certamente una delle più difficili da controllare.
Brahmacharya è soprattutto un atteggiamento mentale nei confronti degli aspetti sensuali ed implica vivere in maniera sobria, con autocontrollo e moderazione nei pensieri, nelle parole, nelle azioni. Significa essere padroni dei propri sensi, essere capaci di tenere ben salda la mente in un atteggiamento di distacco consapevole dagli oggetti, dalle persone, dalle circostanze sia favorevoli che contrarie, dai nostri stessi pensieri.
Spesso purtroppo la gente, nella ricerca di una pratica più sostenuta, si costringe nel celibato senza esserne convinta, senza sentirsi veramente a suo agio e soprattutto creando un atteggiamento di rigidità verso tutti gli aspetti della vita. La stessa cosa possiamo vederla negli asana, le posture. Tanta gente si ostina, malgrado il dolore fisico e un corpo stanco che vuole riposare. Allora invece di imparare dallo yoga ad ascoltare il nostro corpo ed in ultimo a conoscere maggiormente noi stessi, non facciamo altro che limitarci ulteriormente, ostinarci in qualcosa che ci pare sia giusto, una formulina matematica creata da qualcun altro che non si sposa con noi o che non sappiamo fare nostra.
Il fine ultimo degli yama e niyama non è quello di imporre un sistema etico e morale che renda la vita tediosa e la mente rigida, ma quello di affievolire il potere delle nostre passioni in modo da canalizzare l’energia verso una coscienza superiore.
Solo a quel punto yama e niyama si trasformeranno da una forma di pratica in una realizzazione che ci porterà verso la libertà e la gioia.