Felicità è un cuore aperto

Qualche giorno fa, parlando della sequenza che stiamo praticando adesso, ho fatto riferimento ad anahata chakra, il quarto centro energetico che si trova a livello del cuore ed è infatti chiamato comunemente chakra del cuore. La sequenza di questo mese e il prossimo è infatti dedicata agli archi e alle torsioni a livello più fisico, andando a stimolare, a livello più sottile, proprio anahata. Aprire il petto, alleggerire le spalle, sciogliere la parte alta della schiena ci da subito un senso di energia, di benessere e in qualche modo ci stimola ad aprirci, ad abbracciare l’altro, ad accogliere.

Quando lavoriamo su anahata stimoliamo di conseguenza anche i polmoni e da qui ho fatto riferimento alla medicina cinese. Sono molto affascinata dalle commistioni fra culture diverse e fra medicina cinese, pensiero taoista e yoga ho tantissima ricchezza, per la quale sono veramente grata. In MTC il polmone è associato all’elemento metallo, mentre il cuore all’elemento fuoco. Sono due elementi molto diversi, ma la connessione c’è.

Il polmone è l’organo più alto (il “tetto” o “coperchio” degli organi) ed è l’unico ad avere accesso diretto con l’esterno attraverso le vie respiratorie e la pelle, a cui questo organo è connesso. Anahata chakra, guarda caso, è connesso al tatto, al toccare. È l’avvicinarsi all’altro, il lasciar cadere le proprie difese.

Associati all’elemento metallo i polmoni rappresentano, a livello emotivo, l’energia della tristezza profonda e dei forti traumi: spavento improvviso, cambi repentini, tristezza e malinconia. Le spalle chiuse, la testa china, la difficoltà a respirare fanno proprio questo: ci chiudono, non ci permettono di espanderci, trattengono. L’elemento metallo ci chiede proprio questo: imparare a lasciar andare ciò che non ci serve più, a non trattenere. Solo così potremo fare spazio a nuove esperienze che ci permetteranno di imparare, crescere, espanderci. E l’espansione è proprio l’insegnamento dell’elemento fuoco. Per crescere infatti ci vuole coraggio, bisogna avere cuore e saper agire con lui. Il rischio dell’elemento fuoco è però quello di bruciarsi, di esagerare, di andare avanti troppo spavaldi, quasi in maniera inconsapevole. Da qui nasce la mia personale connessione fra i polmoni (e di conseguenza l’elemento metallo) e anahata chakra: un’espansione più matura, meno emozionale, bilanciata dalla saggezza dell’elemento terra.

A questo punto, una ragazza che stava ascoltando mi ha detto che in cinese “felice” si scrive 开心, kāixīn, che letteralmente significa “aprire il cuore”

Come spesso accade la bellezza della lingua cinese sta nelle sue sfumature, dovute proprio all’origine pittografica di questo linguaggio. Ricercando ho trovato un blog, dal quale prendo questa citazione:

开心 (kāixīn) corrisponde a stare bene, a sentirsi colmi di un pieno che si libera generando un vuoto: uno spazio fertile e disponibile a riempirsi nuovamente, in un ciclico ripetersi. Un vuoto dinamico, un passaggio, un’alternanza, dove ciascuna cosa viene accolta, fatta fiorire e lasciata ad una nuova ricerca. Non un fissare e fermare, ma un riempire e svuotare.

Quello riempire e svuotare è il nostro respiro, il soffio vitale, ma è anche il battito del nostro cuore. Tutto è connesso, basta essere aperti. Buon coraggio a tutti!

“Non lasciarmi”: di maiali, cuori e ahimsa

La notizia del cuore di un maiale geneticamente modificato trapiantato su di un paziente mi ha scossa moltissimo, riportando alla memoria un libro che ho letto qualche anno fa, “Non lasciarmi”, del premio Nobel 2017 Kazuo Ishiguro.

È una storia non facile ma che sono felicissima di avere letto.
Nella storia si parla di tre ragazzini che vivono nell’atmosfera protetta e per certi versi idilliaca di Hailsham, un istituto isolato nel cuore della campagna inglese. I ragazzi fanno parte di un progetto in cui la loro collaborazione è indispensabile: sanno di essere diversi dai tutori e da tutti gli esseri umani del mondo di fuori, ma non hanno idea di cosa si celi dietro. Loro crescono felici, vivendo tutte le esperienze classiche di ogni bambino e ragazzo, dall’amicizia intensa ai primi amori, alla rabbia e la gelosia. Alcuni tutori sono severi ma comunque sempre giusti e pronti ad aiutare tutti e non soltanto ad insegnare le solite materie scolastiche: ad Hailsham viene anche incoraggiata la creatività, seguendo la personale inclinazione dei ragazzi.

La storia parla in particolare di tre giovani e della loro amicizia, di come essa si modifica negli anni, soprattutto quando, finito il periodo di Hailsham, i ragazzi cominciano il periodo di mezzo nei Cottages, delle specie di fattorie dismesse nelle quali questi si autogestiscono. E qui inizia la parte macabra. Ragazzi che sono stati spronati alla creatività, alla lettura, all’arte, scoprono che dopo questo breve periodo nei cottages inizierà la vera vita, quella a cui erano destinati fino ancora prima della nascita: loro non avranno mai un lavoro, non avranno mai una vita “normale” e non avranno neanche mai figli pur avendo normali impulsi sessuali poiché sono sterili. Infatti questi ragazzi sono stati generati per clonazione allo scopo di diventare “donatori” e il loro corpo sarà utilizzato per guarire le infermità della gente “vera”, quella nata da madre e padre. Tutti quanti dovranno donare i loro organi fino a che non avranno completato “il loro ciclo”.

La notizia del maiale geneticamente modificato mi ha ricordato subito questo libro che in qualche modo la mia mente aveva rimosso tanto la sua lettura, seppure appassionante, mi aveva messa a disagio.
Qui non si tratta di bambini, certo, ma di maiali. Ma a me fa male lo stesso. Quanta cattiveria devono ancora subire gli animali?

Nello yoga ci sono cinque yama, cinque principi etici a cui i praticanti dovrebbero ispirarsi e uno di questi riguarda proprio ahimsa. Himsa in  sanscrito significa violenza, fare del male e il suffisso a- significa non, perciò ahimsa può essere tradotto come non fare del male, non violenza.
Ma non c’è bisogno di praticare yoga o conoscerne la filosofia per apprezzare questo concetto che per fortuna è insito in tutte le culture. Basti pensare alla Regola d’oro, non fare gli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, principio che si ritrova nelle scritture di molte religioni.

Per l’Islam, «Nessuno di voi è un credente se non desidera per il proprio fratello ciò che desidera per se stesso»,(I quaranta hadith di al-Nawawi 13). Nell’Induismo leggiamo «Questo, dicono i saggi, è il sommo dharma: come è la vita che tu desideri per te, così sia per te quella delle [altre] creature»,(Mahabharata, 13.116.2). Nel confucianesimo, Zigong domandò: “C’è una parola che faccia da guida per tutta la vita?” Il Maestro disse:“È la reciprocità. Quel che non desideri per te, non farlo agli altri”.»,(Kǒng Zǐ 孔子 551-479 a.e.v.) 

Coltiviamo ahimsa ogni giorno, coltiviamo l’empatia, l’amore incondizionato e finalmente sapremo cogliere la bellezza che è in ogni cosa.

A tutti i guerrieri

Sotto il natale spesso, condizionati dalle abitudini culturali, si parla più spesso di bontà. Se abbiamo dei figli poi è molto facile incitarli a “fare i bravi, essere buoni”.

Spesso però essere buoni viene frainteso con un banale essere educati, giusti rispetto alla società, alle abitudini prestabilite. Così magari si salva la faccia davanti agli altri, si mantengono le buone etichette, ma si rischia di perdere la parte più autentica di noi stessi e di rimanere insoddisfatti.
Essere buoni veramente è un lavoro molto più impegnativo, richiede di andare in profondità in noi stessi, abbandonare le comfort zone, superare le paure per potersi aprire veramente a se stessi in primis e poi e agli altri.

Sono proprio i “difetti” i nostri alleati più preziosi: sono la nostra base, ciò da cui partiamo qui, ora e che può trasformarsi ed evolversi fino a diventare il nostro viaggio più bello. Ogni singolo viaggio è unico e speciale, non dobbiamo paragonarlo a quello degli altri, né averne un’immagine prestabilita. Il rischio sarebbe di compiere il viaggio di qualcun altro.
Bisogna avere tanta compassione e amore per noi stessi, curare le nostre ferite, complimentarci per gli sforzi fatti, sia che si tratti di aver salvato la vita a qualcuno sia che si tratti di essere riusciti a parlare con quella persona che ci mette a disagio o ancora, di essere riusciti a cambiare lavoro. Non siamo qui per giudicarci o giudicare. Ognuno ha il suo karma, la sua lezione da imparare e se la portiamo avanti, va bene così.

Oggi lascio la parola a queste bellissime righe che riassumono, nella loro semplicità, una grande lezione. È il mio augurio per tutti noi per l’anno che verrà, per diventare buoni e migliori in maniera sana.


Trasforma la rabbia nel fegato in gentilezza

Rompi il ghiaccio congelato della paura nei reni e trasformalo in saggezza e comprensione
Lascia andare la tristezza e le lacrime nei polmoni e trasformale nel coraggio di amare
Rilascia l’attaccamento e la preoccupazione nella milza e assumi la responsabilità di questa connessione karmica
Guarisci la separazione e l’odio nel cuore e trasformalo in amore e connessione.

Buon riposo a tutti i guerrieri della luce!

Furoshiki, o dell’arte di avvolgere

Japanese-style-wrapping-cloth-furoshiki-handkerchiefs-Flower-113B-COTTON-ANCHOR-RUDDER.jpg_640x640Due anni fa ho seguito un corso di furoshiki. Non sapevo cosa fosse, avevo solo letto velocemente che era una tecnica giapponese per confezionare pacchetti con la stoffa. L’idea mi incuriosiva e così sono andata e mi si è aperto un mondo.

Il furoshiki sarebbe la cosa più banale del mondo, ma in questo mondo talmente avanzato è invece diventato una rarità. Altro non è infatti che l’arte di imballare e trasportare le cose piegando e annodando un telo di stoffa. Quello che serve è un foulard quadrato che, piegato e annodato in vari modi diventa di volta in volta borsa, imballaggio, contenitore, adattandosi a oggetti di ogni forma e mantenendo sempre stile ed eleganza.d482968d968a6fc68e112adc732413cd

Ci sono vari motivi per cui amo l’arte del furoshiki. Portare
attenzione e cura verso ciò che si fa è un’arte a sè stante, quindi anche prendersi cura del regalo che vuoi portare a un amico è già di per sè un regalo.  L’ambiente ci guadagna, perché il concetto del furoshiki è che il foulard è un mezzo di trasporto e poi torna a casa con colui che lo ha impacchettato, pronto per trasformarsi in altro appena ce ne sarà l’esigenza. Pensate se tutti avvolgessero regali, ma anche bottiglie di vino, libri, in un furoshiki invece che in sacchetti di plastica o carta! E poi diciamocelo, tutto sommato agli amici fai anche un favore perché non devono impegnarsi a buttare via la carta che generalmente si strappa in malo modo, anche perché quasi mai a qualcuno interessa il contenitore ma solo il contenuto.
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Con il furoshiki invece, d’un tratto, il contenitore diventa originale e curioso e chi riceve il dono sa che hai preso del tempo per curare il dono. Infine, il furoshiki rappresenta benissimo il concetto di impermanenza: un pacchetto bello destinato sempre a scomporsi e a rinascere sotto altre spoglie.

Quante cose può insegnarci un semplice telo di stoffa!

La parola a Dostoevskij

Lascio oggi la parola aFedor-Dostoevskij-C-GettyImages_imagelarge Fëdor Dostoevskij, che come molti di voi sanno è uno dei miei autori preferiti. In particolare, in occasione della pasqua, vi lascio con il finale de I Fratelli Karamazov, un libro che ho letto due volte a distanza di dieci anni. La prima volta lo  apprezzai per l’attacco alla religione che vi trovavo (il famoso passaggio de “il grande inquisitore”), la seconda l’ho amato per la sua grandissima spiritualità. Le contraddizioni mi hanno sempre stimolata ed è bello anche ricredersi e scoprire il nuovo in ciò che già si credeva di conoscere. Non vi anticiperà nulla della storia, qualora vi venisse voglia di leggerlo in un futuro 🙂

Buona lettura!

“Signori, presto ci separeremo … Stringiamo un patto qui, presso il macigno di Iljuša: che non ci dimenticheremo prima di tutto di Iljuša, e poi l’uno dell’altro… E ci ricorderemo il giorno in cui abbiamo sepolto il povero ragazzo, al quale in passato avevamo tirato i sassi presso il ponticello – ve lo ricordate? – e poi abbiamo tutti imparato ad amarlo… Sappiate che non c’è nulla di più sublime, di più potente, di più salutare e di più utile per tutta la vita, di un buon ricordo e soprattutto di un ricordo dell’infanzia… Se un uomo porta con sé molti di questi ricordi nella vita, egli sarà salvo fino alla fine dei suoi giorni. E anche se dovesse rimanere un solo buon ricordo nel nostro cuore, anche quello potrebbe servire un giorno per la nostra salvezza. Chissà, potremo anche diventare cattivi un giorno… Tuttavia, per quanto possiamo diventare cattivi – che Dio non voglia! – quando ricorderemo il giorno in cui abbiamo sepolto Iljuša, come lo abbiamo amato negli ultimi giorni della sua vita e come, in questo momento, ci siamo parlati da amici, stando tutti insieme presso questo macigno, allora anche il più cattivo fra di noi, anche il più cinico – ammesso che si sia diventati tali – non oserà, dentro di sé, ridere di quanto è stato buono e gentile in questo momento! Anzi, potBkdraftrebbe accadere che proprio questo ricordo lo distolga da un grande male ed egli potrà riflettere e dire: – Sì, allora ero buono, coraggioso e onesto – ”.

“Sarà sicuramente così, Karamazov, io vi comprendo, Karamazov!”, esclamò Kolja con gli occhi che gli brillavano. I ragazzi si agitarono commossi e volevano dire qualcosa anche loro, ma si trattennero e continuarono a rivolgere i loro sguardi attenti e commossi all’oratore. “Dico questo nel caso deprecabile che diventiamo cattivi”, proseguì Alëša, “ma perché mai dovremmo diventarlo, signori? Per prima cosa, soprattutto, noi saremo buoni, poi onesti e poi non ci dimenticheremo mai l’uno dell’altro. Lo ripeto ancora. Io, per primo, vi do la mia parola che non dimenticherò nessuno di voi; ciascun viso che in questo momento mi sta guardando, lo ricorderò, dovessero passare pure trent’anni… Voi tutti, signori, mi siete cari, per sempre conserverò tutti voi nel mio cuore e vi chiedo di conservare anche me nel vostro! E chi ci ha uniti in questo buono, nobile sentimento – colui che noi ricorderemo e desidereremo ricordare per sempre, per tutta la vita – se non Iljuša, il buon ragazzo, il dolce ragazzo, il ragazzo che sarà caro a noi nei secoli dei secoli? Allora non dimentichiamolo mai, eterna memoria a lui nei nostri cuori da ora e nei secoli dei secoli!”. 

CollegioSanStanislaoLjubljana-2010“Sì, sì, eterna memoria, eterna memoria”, gridarono all’unisono i ragazzi con le loro vocette squillanti e i volti commossi. “Ricorderemo anche il suo viso, il suo vestitino, e i suoi miseri stivaletti e la sua piccola bara e il suo sciagurato padre, e di come egli insorse coraggiosamente contro tutta la classe in difesa del padre!” . “Ricorderemo, ricorderemo!”, fecero coro ancora una volta i ragazzi. “Era coraggioso, era buono!”. “Ah, quanto gli volevo bene!”, esclamò Kolja. “Ah, figlioletti, cari amici, non abbiate paura della vita! Com’è bella la vita se compi un’azione giusta e buona!”. “Sì, sì”, ripeterono i ragazzi solennemente. “Karamazov, vi vogliamo bene!”, gridò impulsivamente una voce, forse quella di Kartašov. “Vi vogliamo bene, vi vogliamo bene!”, fecero eco anche tutti gli altri. Molti avevano gli occhietti pieni di lacrime. “Urrà per Karamazov!”, proclamò Kolja entusiasta. “Ed eterna memoria al povero ragazzo!”, soggiunse ancora una volta con sentimento Alëša. “Eterna memoria!”, ripeterono i ragazzi.

“Karamazov!”, gridò Kolja. “È vero che la religione dice che noi tutti risorgeremo dai morti e torneremo a vivere e ci rivedremo l’un l’altro, tutti, anche Iljuša?”.“Senza dubbio risorgeremo, senza dubbio ci rivedremo e in gioia e lietezza ci racconteremo l’un l’altro tutto il nostro passato”, rispose Alëša fra sorridente e estasiato. “Ah, come sarà bello!”, sfuggì a Kolja. “Ma adesso basta parlare e andiamo al pranzo funebre. Non siate turbati dal fatto che mangeremo le frittelle. Questa è un’antica, eterna tradizione e c’è del buono in essa!”, disse Alëša ridendo. “Su, andiamo! Andiamoci tutti adesso, mano nella mano!”. “E sarà così per sempre, per tutta la vita, mano nella mano! Urrà per Karamazov!”, gridò Kolja un’altra volta con trasporto, e ancora una volta i ragazzi fecero eco al suo grido”.

La Magia del Respiro

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Carlos Castaneda

Quest’estate ho letto il mio terzo libro di Carlos Castaneda, “Il dono dell’Acquila”.

Castaneda era un antropologo, ma è soprattutto diventato famoso per la sua serie di 12 libri in cui ha descritto il suo percorso di iniziazione allo Sciamanesimo mesoamericano.
Non è un autore facile, bisognerebbe leggere i suoi libri in ordine cronologico per avere una visione d’insieme, cosa che io purtroppo non ho fatto. Sicuramente fra i miei progetti futuri c’è quello di seguire questa chiave di lettura per poter meglio comprendere un autore così interessante e importante per aiutarci a cogliere ciò che esiste oltre il puro mondo materiale.
Ciononostante ho deciso di lasciare qui un estratto da questo libro che riguarda l’importanza del respiro nelle tecniche usate dagli iniziati per progredire nel loro cammino. Il testo è un po’ ostico ma ha una sua poesia se si legge senza tentare di dargli un senso puramente logico. Così ve lo lascio sperando possa esservi d’ispirazione 🙂
[…]Florinda spiegava che l’elemento chiave del ricapitolare era la respirazione. Il respiro per lei era magico perché era una funzione vitale. Diceva che era facile ricordare se si poteva ridurre l’aria di stimolazione intorno al corpo. Per questo era necessario lo scatolone, così la respirazione avrebbe favorito ricordi sempre più profondi.[…]
Florinda mi riferì che il benefattore le aveva ordinato di scrivere un elenco di avvenimenti da rivivere. Le aveva detto che la procedura si avvia con un respiro iniziale. I cacciatori cominciano col mento sulla spalla destra, inalando lentamente mentre ruotano il capo per un arco di centottanta gradi. Il respiro termina sulla spalla sinistra. Finito di inalare la testa torna in posizione rilassata. Esalano guardando dritto davanti a sé. 

Poi il cacciatore prende il primo avvenimento della lista e ci si sofferma finché non ha ricordato ogni sensazione ad esso collegata. Mentre i cacciatori ricordano le sensazioni connesse a tutto quel che è oggetto di ricapitolazione, inalano adagio, ruotando la testa dalla spalla destra alla sinistra. Questa respirazione ha il compito di ridare energia. Florinda affermava che il corpo luminoso crea in continuazione filamenti simili a ragnatele che sono proiettati fuori dalla massa luminosa, spinti da svariate emozioni. Di conseguenza ogni interazione oppure qualsiasi altra situazione che coinvolga i sentimenti, depaupera potenzialmente il corpo luminoso. I cacciatori, respirando da destra a sinistra, mentre ricordano una sensazione, con la magia del respiro raccolgono i filamenti che si sono lasciati dietro. Il respiro che viene subito dopo, va da sinistra a destra ed è un’esalazione; con questo i cacciatori espellono i filamenti lasciati loro da altri corpi luminosi coinvolti in quel che si sta ricordando…

Carlos Castaneda, Il Dono dell’Aquila