अपरिग्रहस्थैर्ये जन्मकथंता संबोधः
aparigraha-sthairye janma-kathaṁtā saṁbodhaḥ II Sutra 39
“Allorché lo yogin è fermamente stabile nella non-possessività, sorge la conoscenza dei “come” e “perché” dell’esistenza”
Si
amo arrivati infine all’ultimo degli Yama, Aparigraha.
Esso viene abitualmente tradotto come assenza di avidità, ma il termine non possessività è molto più corretto.
Per non possesso non si deve intendere il mero possesso materiale, ma anche mentale e quindi infine anche spirituale. Quante volte ci rendiamo conto, magari dopo qualche ora (se ci va bene, più probabilmente dopo mesi o anni!), di aver perso tempo rincorrendo il nulla, attaccati a un pensiero, una sensazione che in ultima analisi non era altro che un falso desiderio, una percezione distorta, una sensazione che in verità non faceva neanche parte di noi?
Abbiamo tutti degli obiettivi, ma il tempo che si ha a disposizione viene spesso utilizzato in maniera poco efficiente, per reagire mentalmente a fenomeni esterni al nostro vero sentire. Siano essi una persona che ci parla, uno schermo di computer che ci tempesta di informazioni, un evento nella strada accanto: qualsiasi cosa sposta la nostra attenzione dal nostro vero sentire all’oggetto posto in questione.
Essere capaci di eliminare il superfluo, l’inutile, tutto ciò che può deviare, rallentare, ostacolare, distrarre, fermare o inquinare la nostra vera via è Aparigraha.
A volte si tende a pensare che nel non volere di più, nell’accontentarsi ci sia una sorta di rassegnazione passiva e io stessa agli inizi lo pensavo e mi ribellavo a questa placida “rilassatezza” di alcuni insegnanti… anzi, mi dava proprio fastidio!
Ben lungi dall’essermi illuminata, per lo meno mi sono calmata u
n po’ e ora so che non si tratta di rassegnazione, né di passività nei confronti della vita. Al contrario, si tratta di vivere più intensamente e in una maniera più appagante.
Aparigraha non vuole censurare, né boicottare ciò che materialmente possediamo, ma eliminare gli attaccamenti e le dipendenze che ne possono derivare, rendendoci infine più liberi e ricchi, consci di ciò che abbiamo.
Imparando ad “accogliere e accettare” ciò che arriva per come è infatti, senza ricamarci sopra, ci si può accorgere che forse abbiamo già molto più di quanto credessimo, sia a livello materiale che a livello più sottile. Ci rendiamo conto anche che la perdita è un fatto della vita, così come il cambiamento. E guardando a questi fatti col dovuto distacco, potremmo persino notare che è proprio quel distacco che ci permette di sentirci maggiormente in comunione col tutto, a disperderci di meno e a non limitare il nostro amore e le nostre emozioni. Si tratta in qualche modo di un risparmio energetico, che accresce la nostra empatia senza sciuparci. E quando siamo radicati nel godere di ciò che già abbiamo e siamo, allora Patanjali dice, “sorge la conoscenza”.

la creazione, il termine con cui viene descritto significa letteralmente illimitata immensità, da considerarsi come unica e indivisibile; mentre “charya” può essere inteso come andare verso.
o come astinenza sessuale tout court, ma descritto così riduciamo di moltissimo il suo senso più profondo.
ricerca di una pratica più sostenuta, si costringe nel celibato senza esserne convinta, senza sentirsi veramente a suo agio e soprattutto creando un atteggiamento di rigidità verso tutti gli aspetti della vita. La stessa cosa possiamo vederla negli asana, le posture. Tanta gente si ostina, malgrado il dolore fisico e un corpo stanco che vuole riposare. Allora invece di imparare dallo yoga ad ascoltare il nostro corpo ed in ultimo a conoscere maggiormente noi stessi, non facciamo altro che limitarci ulteriormente, ostinarci in qualcosa che ci pare sia giusto, una formulina matematica creata da qualcun altro che non si sposa con noi o che non sappiamo fare nostra.
n-violenza deve essere innanzitutto praticata verso il proprio intero essere (corpo, mente e spirito), diventando colmi di amore profondo per tutte le differenti manifestazioni della vita. La non-violenza infatti sviluppa in noi qualità sublimi come il perdono, il controllo degli istinti aggressivi, l’umiltà, l’amore incondizionato. Solo allora saranno cacciate le tendenze ostili e anche ciò che ci sta intorno risuonerà di questo stato di ahiṃsā.

tata la madre perfetta.




Shiva arrivò allo Yagna e riassorbì Virabhadra dentro sé stesso. Vedendo la morte e la distruzione davanti a sé, il Dio non riuscì più a provare ira ma piuttosto profondo sconforto e dolore. Così, spinto dalla compassione verso il suocero, cercò il corpo di Daksha e gli diede una nuova testa, ma non una umana, bensì quella di una capra, per poi riportarlo in vita. Questi, immediatamente, si chinò verso di lui e lo chiamò “il buono e caritatevole”.
Asteya, viene spesso tradotto come non rubare e può essere interpretato in maniera semplicistica come non appropriarsi di ciò che non è nostro. Il senso di questo yama però è molto più articolato e profondo e concerne il concetto di non attaccamento.

u di una sedia, per mostrare la sua posizione di messaggero di Rama. Ravana, furioso, rifiuta di offrire una sedia all’emissario reale. Hanuman rimane imperturbabile e inizia ad allungare la sua coda, facendola girare in piccoli cerchi sotto di sé per sedercisi sopra. Così facendo il trono di Ravana risulta più basso, cosa che irrita il re. Questi allora esorta i soldati a poggiare il trono su di una base più alta, in modo da riguadagnare la sua posizione di prestigio, ma la soluzione non è che temporanea, poiché Hanuman continua col suo gioco allungando ulteriormente la coda e continuando a chiedere nel frattempo la liberazione di Sita, mo
glie di Rama.
Satya è un comportamento di verità, una qualità per mantenersi veri nelle parole, nei comportamenti, nei pensieri, ma è anche un modo di perseguire la verità anche all’esterno di noi stessi. Nell’ordinario può capitare di usare parole negative senza farci caso, ma quando si pratica yoga l’attenzione viene portata con sempre maggiore frequenza all’uso corretto di ogni termine o frase.
l’espressione del pensiero e del relativo comportamento. Partendo perciò dall’aspetto più visibile possiamo purificare anche la causa meno visibile e perciò più sfuggente, quale il pensiero. In generale infatti quando usiamo parole cattive, offensive, ingiuste verso gli altri, prima di tutto stiamo autosabotando noi stessi, mossi principalmente dalla paura.
à di pensare a quello che non sta accadendo è una realizzazione cognitiva che arriva ad un costo emozionale”. L’infelicità della distrazione, naturalmente, è esacerbata dal fatto che spesso, mentre la nostra mente vaga, i nostri programmi subconsci stanno sabotando i desideri della nostra vita!
Con il termine Yama si intende il primo step, le pratiche morali, anche dette “grandi comandamenti universali”. Nel contesto dello yoga, Yama va inteso come il trattenitore, dalla radice Yam che significa frenare, controllare, cessazione. Yama, quindi è l’astinenza che deve essere applicata ai pensieri, alle parole e alle opere. Queste pratiche mirano a porre il fondamento etico nel Sadhaka (praticante), che reagirà alle situazioni che la vita gli presenterà in accordo con tali osservanze.
ll’Hatha Yoga Pradipika, il Basti, ovvero il lavaggio completo del colon.
te tecniche prima di intraprendere il pranyama.
ndo, tiepido!, né non troppo caldo né troppo freddo, pensate che finirà in una zona sensibile ^^