Chakrasana, la posizione della ruota

Chakrasana

Chakrasana letteralmente significa posizione della ruota, un nome che si ispira al movimento e alla forma del corpo mentre la si esegue. Alcune tradizioni la chiamano urdhva dhanurasana, la “posizione dell’arco verso l’alto”.

Chakrasana con braccio sollevato

A livello sottile quest’asana è strettamente collegata ai centri energetici del nostro corpo, i chakra. In questa posa infatti la spina dorsale viene premuta uniformemente verso la parte anteriore del corpo, aprendo non solo lo spazio interno del corpo, ma attirando anche la nostra coscienza a tutti i chakra lungo la spina dorsale. Queste “ruote” di energia influenzano la nostra vitalità e il nostro benessere generale, producendo effetti sulle nostre emozioni e sulla nostra mente. Eseguendo Chakrasana mettiamo in moto una sorta “di ruota” simbolica che attiva proprio questi vortici di energia e ciò permette di sbloccare le energie, liberandole e favorendo così una migliore circolazione del prana.

Ballerina egizia in chakrasana

A livello maggiormente fisico chakrasana apre il torace e la cassa toracica, migliorando la capacità respiratoria; favorisce l’estensione della colonna vertebrale, rafforza e tonifica le spalle, le braccia, i glutei, le gambe e la schiena. Per via dell’intensa flessione all’indietro si allungano l’addome e i suoi organi (soprattutto il fegato, pancreas e stomaco), che in questo modo vengono dinamizzati. Anche l’aorta viene allungata, portando cosi beneficio sull’attività cardiaca, mentre i polmoni vengono tonificati e gli alveoli hanno migliore elasticità. Chakrasana ha inoltre effetti benefici sulla tiroide, sul sistema endocrino e sul sistema nervoso.

Qualche motivo d’altronde ci doveva pure essere se fin dall’antichità l’umanità pratica questa posizione. Buona ruota a tutti!

Lokah Samastha Sukhino Bhavantu: un mantra per la pace

Lokah Samastha Sukhino Bhavantu è uno dei mantra più conosciuti fra quelli in lingua sanscrita, molto spesso recitato alla fine della pratica di yoga. Letteralmente le parole si possono tradurre così:

Lokah come “regno”, “mondo” o “universo”

Samastha come “tutti gli esseri che condividono lo stesso mondo”.

Sukhino come “la gioia e la libertà dalla sofferenza”.

Bhavantu deriva da due parole sanscrite: bhav, che significa “stato divino di unità”, e antu, che si traduce come “possa essere così”.

Normalmente il mantra viene tradotto come possano tutti gli esseri del mondo vivere felici e liberi. Alcune fonti aggiungono: e che i pensieri, le parole e le azioni della mia vita contribuiscano in qualche modo a quella felicità e libertà per tutti. 

Proprio qui sta il punto: con i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre azioni, noi possiamo migliorare o peggiorare lo stato d’animo non solo nostro, ma di tutti. Per questo dovremmo imparare a esprimerci bene e soppesare le nostre parole a le nostre azioni. Galileo Galilei diceva: “Le cose sono unite da legami invisibili: non si può cogliere un fiore senza turbare una stella”.

In questo periodo così particolare le parole vengono usate con molta, troppa leggerezza e questo ha creato rabbia, egoismo, disconessione. È proprio l’ego la causa primaria: se poniamo troppa enfasi su noi stessi, questo porta diffidenza, chiusura, paure e ci arrotoliamo su noi stessi. 
Quando invece ci apriamo agli altri, al senso di comunanza e connessione, ci sentiamo più felici, meno soli, meno diversi: siamo in grado di guardare ai nostri problemi personali da una diversa prospettiva.

Lokah Samastha Sukhino Bhavantu ci ricorda, nella sua semplicità, che siamo tutti parte di un unico, che non ci sono differenze. Tutti gli esseri del mondo, quindi inclusi anche gli animali (e secondo me non solo loro), hanno lo stesso diritto a vivere felicemente e con serenità.

Einstein lo ha espresso così: “L’essere umano è una parte di quel tutto che noi chiamiamo “Universo”, una parte limitata nello spazio e nel tempo. L’uomo sperimenta sé stesso, i suoi pensieri e i suoi sentimenti scissi dal resto — una sorta di illusione ottica della propria coscienza. Lo sforzo per liberarsi di questa illusione è l’unico scopo di un’autentica religione. Non per alimentare l’illusione ma per cercare di superarla: questa è la strada per conseguire quella misura raggiungibile della pace della mente”.

In questi giorni bui, pieni di insicurezze, preghiamo perché tutti noi possiamo superare questa illusione ottica: ottenendo la pace della mente, anche la pace fisica può essere ottenuta.

Om shanti. Pace nella mente, nella parola e nel corpo.

Sama vritti pranayama, la respirazione quadrata

Sama in sanscrito significa “uguale, identico” e vritti “movimento” o “fluttuazioni mentali”, perciò letteralmente Sama vritti pranayama viene tradotto come “il respiro che stabilizza le fluttuazioni della mente” o “il respiro in cui tutti i movimenti sono uniformi”. In gergo questa respirazione viene chiamata respirazione quadrata, proprio perché la durata di tutte e quattro le fase è uguale.

Le quattro fasi sono:

  • puraka, in cui lasciamo entrare aria dall’esterno attraverso le narici, cercando di farla scendere giù fino a riempire anche l’addome.
  • antara Kumbhaka, che consiste nella sospensione del respiro a polmoni pieni.
  • rechaka è la fase dell’espiro in cui, attraverso la contrazione dei muscoli addominali, solleviamo il diaframma che accompagna l’aria verso l’alto e verso l’esterno.
  • bahya Kumbhaka coincide con la sospensione del respiro a polmoni vuoti.

Come eseguirla? Di per sè è molto facile: si parte con un conteggio adeguato alla nostra capacità e si mantiene lo stesso per tutta la fase del respiro. Ad esempio si può cominciare contando fino a 6 durante l’esecuzione di ogni fase. Una volta che si riuscirà a mantenere senza sforzo questo tipo di respiro, gradualmente si allunga la durata delle fasi, incrementando il tempo da 6 a 8, poi 10 e così via. Il mio suggerimento è di mantenere questo pranayama per almeno cinque minuti, (ancora meglio 10), in modo da sentirne l’effetto. Usare un metronomo è sicuramente un grande vantaggio. Oramai si trovano tante app anche sugli smartphone e più o meno si equivalgono. Io oramai ho una mia tecnica: abbasso i battiti per minuto lentamente, mantenendo lo stesso conteggio. Ad esempio, si può partire con un conteggio di 7, come i chakra, mettendo sul settimo battito un suono diverso che ci ricorda che dobbiamo passare alla prossima fase. Quando ci sentiamo bene con una velocità di battito, ad esempio 55 bpm, si inizia a scendere gradualmente passando a 53, 51 e così via. Lo trovo un modo molto dolce e rilassante per andare maggiormente in profondità nel pranayama senza dover interrompere la pratica o dover stare troppo dietro al conteggio. 

I benefici di questa respirazione sono tantissimi:

  • Raffina il respiro e la consapevolezza del flusso del prana, il soffio vitale
  • Calma il corpo e la mente
  • Focalizza la mente, rendendo più facile la concentrazione e la meditazione
  • Migliora la capacità polmonare e la qualità del respiro
  • Aiuta a ridurre lo stress e l’ansia
  • Rinforza il sistema immunitario
  • Aiuta a regolare la pressione arteriosa e il battito del cuore
  • Ossigena il cervello e il sangue

Sama vritti pranayama è molto radicante, ci porta veramente qui, dove siamo. Infatti è considerato un ottimo pranayama per muladhara chakra, il primo centro energetico. In generale è anche molto consigliato da vari terapeuti per aiutare in caso di stress e ansia, ma anche per centrarsi, per essere più reattivi. Per tutti questi motivi è un pranayama che ben si adatta ad essere eseguito di sera o prima di coricarsi.

Buon respiro a tutti!

Allunga le ascelle e sorridi alla vita!

Ogni volta che dico di allungare le ascelle sorrido ricordandomi una storia che mi è stata raccontata sul primo incontro fra Patricia Walden, un’insegnante di yoga, col suo maestro, il famoso B.K.S Iyengar.

Urdhva Hastasana, la posizione della montagna con le braccia allungate in sù

La Walden racconta che lei, ai tempi venticinquenne, soffriva di depressione. Alla sua prima classe di yoga, mentre erano tutti in tadasana, Iyengar disse, nella maniera schietta e sintetica che hanno spesso gli indiani: “se aprite le ascelle, non sarete mai depressi”. Questa frase suonò strana a molti, ma la Walden comprese subito il significato profondo che si celava dietro: allungare le ascelle significa aprire il petto e quindi il cuore, significa aprirsi alla vita, cambiare atteggiamento. Il fisico che influenza la mente.

Ricordo il primo mese in cui avevo iniziato a praticare con molta regolarità: una sera, tornando a casa dopo la lezione, dissi alla mia coinquilina: “ho voglia di abbracciare il mondo intero”. Il concetto è esattamente lo stesso. Aprire il petto e allungare le ascelle ci rende più felici, ci apre al mondo. Quando le nostre spalle e il nostro petto sono aperti e sciolti non sentiamo pesi, ma voglia di abbracciare. 

Nella medicina cinese i meridiani dell’elemento fuoco, l’elemento connesso all’estate, all’adolescenza, al massimo dell’apertura, scorrono tutti, guarda il caso che non è mai un caso, proprio sulle braccia. Il meridiano di Cuore, che in MTC viene chiamato l’Imperatore, emerge proprio dalla parte più profonda dell’ascella, nel centro del cavo ascellare. Mastro del cuore, quello che sempre secondo l’ottica confuciana è il Primo Ministro, passa sulla piega ascellare anteriore. Stimolare questa parte del corpo, mantenerla viva, ci risveglia, ci porta gioia. 

A livello di chakra, ovviamente andiamo proprio a stimolare Anahata, il chakra del cuore, il nostro quarto centro energetico. 

Adho Mukha Svanasana

Per aprire il cuore non abbiamo per forza bisogno di andare a eseguire forme complesse o estenuanti, che possono certamente essere divertenti per qualcuno ma un incubo per altri. Ci basta stiracchiarci, allungarci. D’altronde quando ci svegliamo cos’è che facciamo (o cos’è che reprimiamo)? Ci stiracchiamo tirando su le braccia, allungando le ascelle appunto, per risvegliarci e iniziare con maggiore motivazione la giornata. La natura è perfetta e il nostro corpo, se non viene condizionato dai nostri limiti mentali, ha tutti i potenziali per farci stare bene. Se a questo gesto così semplice da risultare banale e quindi poco interessante andiamo a portare consapevolezza, il risultato, ne sono sicura, sarà strabiliante per tutti noi. D’altronde è questa la differenza fra sopravvivere e vivere con consapevolezza. 

Buono stiracchiamento a tutti!

Da lettere dal bosco, lo scoiattolo e i pensieri

Lettere dal bosco, edizione originale in olandese

Ho già scritto su Lettere dal bosco di Toon Tellegen, ma chi mi conosce sa che quando qualcosa mi prende proprio a cuore divento ripetitiva. E questo libro è veramente un inno alla sensibilità, all’educazione nel suo senso più profondo e bello del “tirar fuori ciò che sta dentro”. Una delle sue bellezze è anche il fatto che le storie non abbiano titoli e non ci sia nessun tipo di indice, quindi quando trovi una storia che ti piace particolarmente è un lavoro di memoria ricordarsi a che pagina è e se non la ritrovi, va bene così, c’est la vie. Un giorno magari, in un altro momento, la ritroverai e sarà tutto cambiato. 

Ieri leggevamo a Vera e per caso abbiamo scoperto questa storia che ho riscritto integra qui sotto. Non voglio lasciare alcun commento perché sarebbe riduttivo e la bellezza va assaporata così com’è, ognuno poi ne estrae ciò che è giusto per sé. Buona lettura!

Lo scoiattolo si svegliò di soprassalto nel cuore della notte. Aveva sognato? Non si ricordava alcun sogno, ma era spaventato. Tremava, ma non aveva freddo, e avvertiva delle gocce di sudore gelato sulla fronte e sul collo.

Cercò di rimanere il più immobile possibile e di ascoltare i rumori che venivano da fuori. Forse qualcuno aveva bussato, o forse qualcuno aveva lanciato un grido di lontano. Ma non sentiva nulla. Si sdraiò di nuovo, ma non riuscì più a dormire. Gli vennero in mente mille pensieri. Come si deve fare questo, e perché quest’altro, e cosa accadrà dopo? Erano domande alle quali non sapeva dare risposta, soprattutto l’ultima, che continuava a passargli per la testa: cosa accadrà dopo?

Non riusciva a immaginare cosa mai potesse somigliare a una risposta a quella domanda. Cos’è il dopo?, pensava. Ne aveva parlato una volta alla formica, ma lei aveva alzato le spalle e aveva detto di non aver mai sentito parlare del dopo e che perciò non doveva essere niente. Ma allo scoiattolo questo non bastava. La gazza gli aveva detto una volta che dopo era il contrario di prima, ma allora che cos’era il prima?

Era una notte buia. Lo scoiattolo aprì la finestra per annusare l’aria oscura e magari vedere qua e là una stella fra le nuvole.

Io esisto solo adesso, pensò, davanti alla finestra, nella notte sotto il cielo. Forse la formica ha ragione, pensò ancora, e il dopo non è niente. Ma cos’è il contrario di niente: qualcosa o niente? Il prima esisteva o no? E poi perché lui non riusciva a dormire, mentre a quanto pareva tutti gli altri sì?

Tirò un profondo sospiro e con l’aria soffiò via anche una foglia del faggio. Udì il fruscio che si perdeva in lontananza. 

Io esisto solo adesso, pensò di nuovo. Nono sono mai esistito dopo e non esisterò mai prima. E mentre non riusciva più a seguire i suoi pensieri, che erano sempre più saggi di lui, si sentì rasserenato. Tornò a letto, si infilò sotto le coperte, disse : “Adesso o mai più”, e nello stesso istante si addormentò. 

Utthita parsvakonasana e parivrtta parsvakonasana: torsioni che energia!

Chi pratica con me da un po’ di tempo oramai sa che sono un’amante delle torsioni: le ritengo fra le asana più salutari in assoluto.

Di motivi per praticarle ce ne sono tanti, ma se dovessi scriverne uno solo sarebbe che, allungando la colonna, permettono di creare spazio tra le vertebre consentendo all’energia di fluire meglio. E l’energia si sente subito! Nella sequenza di questo e del prossimo mese incontriamo vari tipi di torsioni e queste ci aiutano ad andare sempre più in profondità negli archi ma anche nei piegamenti in avanti.

Utthita Parsvakonasana

Oggi parlerò in particolare di utthita parsvakonasana e della sua sorella parivrtta parsvakonasana. Sono entrambe posizioni abbastanza complesse, soprattutto la seconda e infatti le stiamo portando avanti da un po’, imparando piano piano a percepirle maggiormente. 

La prima può essere letteralmente tradotta come “la posizione dell’angolo laterale esteso”, mentre la seconda è la “posizione dell’angolo laterale ruotato“.

Parivrtta Parsvakonasana

I loro benefici sono innumerevoli: allungano e fortificano i muscoli e le articolazioni delle gambe, delle ginocchia e delle caviglie, compiono uno stiramento dei legamenti della zona dell’inguine, di tutta la colonna vertebrale, del torace e delle spalle. Sempre a livello del torace, aumentano la capacità polmonare e scendendo poco più in basso stimolano l’attività degli organi addominali alleviando la costipazione e aumentando al contempo la forza e la resistenza fisica. Inoltre, irrorano di sangue gli organi sessuali migliorando la loro attività e la fertilità e aiutano la donna a ridurre i disturbi delle mestruazioni. Infine, allungando la colonna, contribuiscono a ridurre il dolore alla zona lombare della schiena e a prevenire la sciatalgia.

Parivrtta Parsvakonasana, variazione con torsione più profonda

Nell’eseguirle, allineiamo le spalle e ruotiamo sul nostro asse centrale, la testa per ultima. Il segreto in queste torsioni è usare il braccio nella prima, il gomito nella seconda, come una leva per accentuare la torsione, portando le costole inferiori in avanti e le spalle all’indietro. È molto importante portare la massima attenzione al collo: se ruotare la testa verso l’alto crea tensione, semplicemente lasciamo che lo sguardo si porti in avanti, in linea con il petto, creando una linea retta lungo il nostro asse centrale e il collo.

A livello energetico queste asana ci permettono di lavorare sul chakra della gola, Vishudda, il quinto centro energetico, collegato proprio alle spalle, al collo, alla zona della mascella e delle orecchie. E forse proprio per questo possono portare molta energia quando le pratichiamo bene: stimolare questa parte del corpo, spesso bloccata o limitata nei movimenti, è un vero toccasana.

Concludo con una citazione dal libro Yoga e Chakra di Anodea Judith che descrive meravigliosamente le qualità di Vishudda chakra:

“Poiché la vibrazione dell’anima si esprime naturalmente soprattutto in forma di suono, quando freniamo la sua espressione ci blocchiamo soprattutto nell’area del chakra della gola. Teniamo i muscoli della mandibola tesi, irrigidiamo le spalle e il collo non è più in grado di mantenere la testa e il corpo in un corretto allineamento. La nostra espressione di noi stessi non è più libera, ma diventa sospesa e incerta. La creatività viene ridimensionata.
Allora dobbiamo fare un po’ di lavoro sul chakra della gola e liberare il corpo in modo da farlo di nuovo danzare al ritmo della vita. Se il corpo è lo strumento suonato da Dio, allora il compito del quinto chakra è di permettere alla musica della vita di esprimersi attraverso di noi in armonia.”

 

 

 

Felicità è un cuore aperto

Qualche giorno fa, parlando della sequenza che stiamo praticando adesso, ho fatto riferimento ad anahata chakra, il quarto centro energetico che si trova a livello del cuore ed è infatti chiamato comunemente chakra del cuore. La sequenza di questo mese e il prossimo è infatti dedicata agli archi e alle torsioni a livello più fisico, andando a stimolare, a livello più sottile, proprio anahata. Aprire il petto, alleggerire le spalle, sciogliere la parte alta della schiena ci da subito un senso di energia, di benessere e in qualche modo ci stimola ad aprirci, ad abbracciare l’altro, ad accogliere.

Quando lavoriamo su anahata stimoliamo di conseguenza anche i polmoni e da qui ho fatto riferimento alla medicina cinese. Sono molto affascinata dalle commistioni fra culture diverse e fra medicina cinese, pensiero taoista e yoga ho tantissima ricchezza, per la quale sono veramente grata. In MTC il polmone è associato all’elemento metallo, mentre il cuore all’elemento fuoco. Sono due elementi molto diversi, ma la connessione c’è.

Il polmone è l’organo più alto (il “tetto” o “coperchio” degli organi) ed è l’unico ad avere accesso diretto con l’esterno attraverso le vie respiratorie e la pelle, a cui questo organo è connesso. Anahata chakra, guarda caso, è connesso al tatto, al toccare. È l’avvicinarsi all’altro, il lasciar cadere le proprie difese.

Associati all’elemento metallo i polmoni rappresentano, a livello emotivo, l’energia della tristezza profonda e dei forti traumi: spavento improvviso, cambi repentini, tristezza e malinconia. Le spalle chiuse, la testa china, la difficoltà a respirare fanno proprio questo: ci chiudono, non ci permettono di espanderci, trattengono. L’elemento metallo ci chiede proprio questo: imparare a lasciar andare ciò che non ci serve più, a non trattenere. Solo così potremo fare spazio a nuove esperienze che ci permetteranno di imparare, crescere, espanderci. E l’espansione è proprio l’insegnamento dell’elemento fuoco. Per crescere infatti ci vuole coraggio, bisogna avere cuore e saper agire con lui. Il rischio dell’elemento fuoco è però quello di bruciarsi, di esagerare, di andare avanti troppo spavaldi, quasi in maniera inconsapevole. Da qui nasce la mia personale connessione fra i polmoni (e di conseguenza l’elemento metallo) e anahata chakra: un’espansione più matura, meno emozionale, bilanciata dalla saggezza dell’elemento terra.

A questo punto, una ragazza che stava ascoltando mi ha detto che in cinese “felice” si scrive 开心, kāixīn, che letteralmente significa “aprire il cuore”

Come spesso accade la bellezza della lingua cinese sta nelle sue sfumature, dovute proprio all’origine pittografica di questo linguaggio. Ricercando ho trovato un blog, dal quale prendo questa citazione:

开心 (kāixīn) corrisponde a stare bene, a sentirsi colmi di un pieno che si libera generando un vuoto: uno spazio fertile e disponibile a riempirsi nuovamente, in un ciclico ripetersi. Un vuoto dinamico, un passaggio, un’alternanza, dove ciascuna cosa viene accolta, fatta fiorire e lasciata ad una nuova ricerca. Non un fissare e fermare, ma un riempire e svuotare.

Quello riempire e svuotare è il nostro respiro, il soffio vitale, ma è anche il battito del nostro cuore. Tutto è connesso, basta essere aperti. Buon coraggio a tutti!

Verdure fermentate, semplici, buone e salutari

La fermentazione è nata come un metodo per conservare gli alimenti ed è tipica di tantissime tradizioni. Personalmente a me piace tantissimo il gusto delle verdure fermentate, inoltre sono facilissime da fare e pronte all’uso: una volta preparate non bisogna far altro che lasciarle nei vasetti e quando si vuole si aprono e si gustano. Oramai ho sempre qualche vasetto di scorta pronto all’uso.

I benefici per la salute sono tantissimi e anche per questo motivo sarebbe davvero utile averne ogni giorno una piccola porzione a tavola.
Le verdure fermentate infatti offrono alla nostra flora intestinale un apporto portentoso di batteri probiotici naturali che aumentano e diversificano le colonie intestinali, responsabili della produzione di sostanze benefiche per il corpo. I
noltre, nutrienti come vitamine e minerali sono più facilmente biodisponibili rispetto alle stesse verdure crude o cotte, come se esse fossero “predigerite”, risultando di conseguenza molto più assimilabili.

Le proprietà non si fermano qui: i fermentati concorrono alla produzione di acido lattico, di vitamine dei gruppi B, C e K, regolarizzano l’assorbimento dei sali minerali, del calcio e dei grassi e allo stesso tempo inibiscono la proliferazione di batteri patogeni. Introdurre i fermentati nella propria dieta può anche aiutare ad alleviare disturbi gastro-intestinali, infiammazioni, candida, intolleranze alimentari, micosi, allergie, obesità e diabete.

Come sempre, tutto è relativo: ad esempio una milza debole deve mangiarne in maniera più moderata e possibilmente non lasciare le verdure per troppo tempo nei barattoli, consumandole abbastanza presto. Ma anche queste persone possono godere dei loro benefici.
Insomma: facili da fare, facili da conservare e fanno benissimo. Cosa si potrebbe chiedere di più? 🙂

“Non lasciarmi”: di maiali, cuori e ahimsa

La notizia del cuore di un maiale geneticamente modificato trapiantato su di un paziente mi ha scossa moltissimo, riportando alla memoria un libro che ho letto qualche anno fa, “Non lasciarmi”, del premio Nobel 2017 Kazuo Ishiguro.

È una storia non facile ma che sono felicissima di avere letto.
Nella storia si parla di tre ragazzini che vivono nell’atmosfera protetta e per certi versi idilliaca di Hailsham, un istituto isolato nel cuore della campagna inglese. I ragazzi fanno parte di un progetto in cui la loro collaborazione è indispensabile: sanno di essere diversi dai tutori e da tutti gli esseri umani del mondo di fuori, ma non hanno idea di cosa si celi dietro. Loro crescono felici, vivendo tutte le esperienze classiche di ogni bambino e ragazzo, dall’amicizia intensa ai primi amori, alla rabbia e la gelosia. Alcuni tutori sono severi ma comunque sempre giusti e pronti ad aiutare tutti e non soltanto ad insegnare le solite materie scolastiche: ad Hailsham viene anche incoraggiata la creatività, seguendo la personale inclinazione dei ragazzi.

La storia parla in particolare di tre giovani e della loro amicizia, di come essa si modifica negli anni, soprattutto quando, finito il periodo di Hailsham, i ragazzi cominciano il periodo di mezzo nei Cottages, delle specie di fattorie dismesse nelle quali questi si autogestiscono. E qui inizia la parte macabra. Ragazzi che sono stati spronati alla creatività, alla lettura, all’arte, scoprono che dopo questo breve periodo nei cottages inizierà la vera vita, quella a cui erano destinati fino ancora prima della nascita: loro non avranno mai un lavoro, non avranno mai una vita “normale” e non avranno neanche mai figli pur avendo normali impulsi sessuali poiché sono sterili. Infatti questi ragazzi sono stati generati per clonazione allo scopo di diventare “donatori” e il loro corpo sarà utilizzato per guarire le infermità della gente “vera”, quella nata da madre e padre. Tutti quanti dovranno donare i loro organi fino a che non avranno completato “il loro ciclo”.

La notizia del maiale geneticamente modificato mi ha ricordato subito questo libro che in qualche modo la mia mente aveva rimosso tanto la sua lettura, seppure appassionante, mi aveva messa a disagio.
Qui non si tratta di bambini, certo, ma di maiali. Ma a me fa male lo stesso. Quanta cattiveria devono ancora subire gli animali?

Nello yoga ci sono cinque yama, cinque principi etici a cui i praticanti dovrebbero ispirarsi e uno di questi riguarda proprio ahimsa. Himsa in  sanscrito significa violenza, fare del male e il suffisso a- significa non, perciò ahimsa può essere tradotto come non fare del male, non violenza.
Ma non c’è bisogno di praticare yoga o conoscerne la filosofia per apprezzare questo concetto che per fortuna è insito in tutte le culture. Basti pensare alla Regola d’oro, non fare gli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, principio che si ritrova nelle scritture di molte religioni.

Per l’Islam, «Nessuno di voi è un credente se non desidera per il proprio fratello ciò che desidera per se stesso»,(I quaranta hadith di al-Nawawi 13). Nell’Induismo leggiamo «Questo, dicono i saggi, è il sommo dharma: come è la vita che tu desideri per te, così sia per te quella delle [altre] creature»,(Mahabharata, 13.116.2). Nel confucianesimo, Zigong domandò: “C’è una parola che faccia da guida per tutta la vita?” Il Maestro disse:“È la reciprocità. Quel che non desideri per te, non farlo agli altri”.»,(Kǒng Zǐ 孔子 551-479 a.e.v.) 

Coltiviamo ahimsa ogni giorno, coltiviamo l’empatia, l’amore incondizionato e finalmente sapremo cogliere la bellezza che è in ogni cosa.

A tutti i guerrieri

Sotto il natale spesso, condizionati dalle abitudini culturali, si parla più spesso di bontà. Se abbiamo dei figli poi è molto facile incitarli a “fare i bravi, essere buoni”.

Spesso però essere buoni viene frainteso con un banale essere educati, giusti rispetto alla società, alle abitudini prestabilite. Così magari si salva la faccia davanti agli altri, si mantengono le buone etichette, ma si rischia di perdere la parte più autentica di noi stessi e di rimanere insoddisfatti.
Essere buoni veramente è un lavoro molto più impegnativo, richiede di andare in profondità in noi stessi, abbandonare le comfort zone, superare le paure per potersi aprire veramente a se stessi in primis e poi e agli altri.

Sono proprio i “difetti” i nostri alleati più preziosi: sono la nostra base, ciò da cui partiamo qui, ora e che può trasformarsi ed evolversi fino a diventare il nostro viaggio più bello. Ogni singolo viaggio è unico e speciale, non dobbiamo paragonarlo a quello degli altri, né averne un’immagine prestabilita. Il rischio sarebbe di compiere il viaggio di qualcun altro.
Bisogna avere tanta compassione e amore per noi stessi, curare le nostre ferite, complimentarci per gli sforzi fatti, sia che si tratti di aver salvato la vita a qualcuno sia che si tratti di essere riusciti a parlare con quella persona che ci mette a disagio o ancora, di essere riusciti a cambiare lavoro. Non siamo qui per giudicarci o giudicare. Ognuno ha il suo karma, la sua lezione da imparare e se la portiamo avanti, va bene così.

Oggi lascio la parola a queste bellissime righe che riassumono, nella loro semplicità, una grande lezione. È il mio augurio per tutti noi per l’anno che verrà, per diventare buoni e migliori in maniera sana.


Trasforma la rabbia nel fegato in gentilezza

Rompi il ghiaccio congelato della paura nei reni e trasformalo in saggezza e comprensione
Lascia andare la tristezza e le lacrime nei polmoni e trasformale nel coraggio di amare
Rilascia l’attaccamento e la preoccupazione nella milza e assumi la responsabilità di questa connessione karmica
Guarisci la separazione e l’odio nel cuore e trasformalo in amore e connessione.

Buon riposo a tutti i guerrieri della luce!