Balasana non è chiamata la posizione del bambino a caso. I bambini dormono effettivamente rannicchiati in questa posizione per molto tempo. Lua, che ha adesso tre anni e mezzo, ci dorme ancora spesso.
I bimbi sono fini intenditori, perché questa posizione è un vero toccasana e infatti viene frequentemente usata nelle sequenze di asana, soprattutto come controposizione dopo gli inarcamenti della schiena, ma anche come momento distensivo e di defaticamento. Io ogni tanto mi faccio proprio dei pisolini in balasana, proprio come mia figlia Lua.
La posizione classica vuole le ginocchia unite, i talloni aperti verso l’esterno, le braccia allungate lungo i fianchi. Questa è la posizione migliore per rilassare completamente anche le spalle. Non è detto che per tutti sia fattibile, ma si possono provare moltissime alternative, anche con l’ausilio di bolster o coperte.
Balasana riduce l’affaticamento e lo stress e grazie all’allungamento delle vertebre allevia le tensioni nella schiena. Aiuta nella riduzione del mal di testa e, portando una lieve pressione sullo stomaco, rilassa gli organi addominali e di conseguenza può essere un sostegno contro i crampi mestruali. Per molte persone balasana risulta complessa perché può tirare molto a livello dei fianchi, delle ginocchia, delle cosce e delle caviglie. Questo ostacolo si può risolvere grazie all’ausilio di un cuscino, una coperta o un bolster appoggiato tra i glutei e le caviglie e, se si è regolari, alla lunga aiuta proprio ad allungare queste parti del corpo.
Nella pratica dello yin yoga, dove le posizioni vengono mantenute per anche 5 o più minuti, balasana viene eseguita perché massaggia e stimola il funzionamento degli organi interni, come lo stomaco, la milza e il pancreas.
Ma soprattutto balasana ci riporta al nostro bambino interiore, che dorme beatamente e sicuro. Se praticata regolarmente può essere di sostegno nella cura dell’insonnia e per alleviare lo stress psicofisico. Potrei continuare ancora ma come sempre la cosa migliore è provare e scoprire di persona. Quindi, buon risposo… ops, buon balasana a tutti!

Una volta avevo sentito dire una frase che purtroppo non sono più riuscita a ritrovare che diceva più o meno così: all’inizio del viaggio guardavo la montagna e pensavo fosse una montagna; una volta intrapreso il viaggio guardavo la montagna e capivo che non era una montagna. Ora che sono alla fine del viaggio so che la montagna è una montagna.
È una frase che mi ha dato una profonda serenità e una grande fiducia nella vita e nei suoi cicli, oltre che nel nostro lavoro di evoluzione qui, su questo piano terrestre.
Tentando di cercare quella frase, mi sono imbattuta in questa di Thomas Stearns Eliot, che più o meno racchiude la stessa profonda saggezza:
Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta
E’ nel ritorno che si coglie veramente l’essenza di questo viaggio fantastico che è la vita. Ri-vedere, ri-scoprire, ri- conoscere e rendersi conto che forse solo ora vediamo per la prima volta.
Lo yoga mi ha dato la stessa sensazione. All’inizio mi sono buttata, ho provato, seguito, viaggiato rincorrendolo, ho poi avuto dei momenti di distacco, di delusione e poi ho ripreso, variando, ri-facendo, cambiando il mio modo di praticare e di insegnare. E non è ancora finita e non finirà fino a quando giungerò all’ultimo respiro!
Nell’astrologia karmica i nodi lunari, punti essenziali per lo studio e l’analisi di questa disciplina, impiegano circa 18 anni a terminare un ciclo completo lungo tutto lo zodiaco e tornare sullo stesso punto in cui si trovavano alla nostra nascita. Questi cicli sono molto importanti perché danno una spinta ulteriore all’anima per mettersi in ascolto, trovare una sintesi rispetto al ciclo appena concluso per incamminarsi con maggiore consapevolezza in quello nuovo.
La ciclicità è la chiave di tutto, che si tratti di grandi o piccole rivoluzioni. E allora oggi onoro la fine di un particolare ciclo, quello cominciato nel settembre 2022 e che terminerà il 20 luglio 2023.
Ringrazio tutti voi: ogni singolo allievo che ho avuto il piacere di conoscere, che sia venuto per pochissimo tempo o col quale si sia instaurato un legame più profondo, ha contribuito e contribuisce tutt’ora a questo nuovo sguardo che spero di poter portare e rinnovare sempre in me.
Buona estate e arrivederci a settembre!
Siamo arrivati al quarto e penultimo niyama, svādhyāyā. Il termine deriva dalla radice sanscrita sva, che significa “sé” o “proprio”, e adhyaya, che significa “lezione”, “lettura” o “conferenza”. Può anche essere interpretato come proveniente dalla radice dyhai, che significa “meditare” o “contemplare”. Entrambe le interpretazioni connotano uno studio approfondito del sé, supportato dalla recitazione dei mantra e in generale dei testi sacri.
Tāpas è i terzo niyama e deriva dalla radice sanscrita del verbo tap che contiene diversi significati fra i quali prima di tutto calore e poi volontà, fervore, rigore ascetico. Tāpas è la disciplina che nello yoga ci permette di ottenere, come il versetto sopra dice, il pieno controllo degli organi di senso, del corpo e della mente.









Svetaketu visse molte migliaia di anni fa in India.